L’ennesimo sfregio sulla pelle della gente di mare. Non esistono parole in grado di rappresentare appieno lo sconcerto e lo scoramento dei tanti marittimi italiani costretti alla frequenza obbligatoria dei corsi direttivi per comandanti e direttori di macchina. Una prescrizione forzata destinata alle migliaia di lavoratori già in possesso del titolo professionale al solo fine di poter continuare a esercitare il proprio mestiere. Una sventura che sarebbe inammissibile se non intollerabile da parte di qualsiasi altra categoria lavorativa “di terra” e che invece costringe alcune tra le più qualificate figure del comparto marittimo a frequentare corsi della durata di 300 ore per la coperta e 570 ore complessive per la macchina. Corsi istituiti al solo scopo di concedere, con tanto di sigillo dello Stato, il mantenimento di un titolo professionale sudato con la fatica e il sacrificio inenarrabile di anni e anni di navigazione.

All’origine di questa sciagurata procedura, vero capolavoro dell’italica burocrazia, alcune disposizioni del MIT concernenti il rinnovo delle certificazioni IMO da primo ufficiale, comandante e direttore, con cui si rende obbligatorio il corso direttivo anche per chi è già in possesso del titolo con alle spalle anni di esperienza.

Un provvedimento assunto in autonomia dall’Italia in forza di una Convenzione internazionale nata, in origine, per definire degli standard formativi minimi di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi, e trasformata negli oscuri corridoi ministeriali in un contorto percorso a ostacoli concepito per complicare la vita e la carriera peraltro già gravosa dei comandanti e dei direttori di macchina.

Una vicenda che, da questione di lana caprina ad uso di azzeccagarbugli e specialisti vari in materia di titoli professionali, si è tramutata da subito in un insopportabile insulto alla sorte già impervia del comparto marittimo, vale a dire di uno degli ultimi ambiti di eccellenza dell’Italia nel mercato della concorrenza globale. Un comparto che, a esser modesti, in tema di sicurezza e preparazione professionale non teme confronti con nessuno al mondo, come testimoniato da un’infinita mole di studi, ricerche e analisi a caratura internazionale. E questo a dispetto di qualunque diploma, certificato o pezzo di carta, esistente o ancora da inventare. Un mondo, quello marittimo, che si ritrova davanti all’ennesimo schiaffo delle istituzioni, vincolato a una legislazione che appare ogni giorno di più concepita al solo fine di ledere la vita di chi non chiede nulla di più che potere guadagnare onestamente il pane.

Dal foglio telematico di Decio Lucano riportiamo una riflessione in merito al suddetto corso del comandante Tobia Costagliola. «Il giovane ufficiale ritorna nella sua vecchia scuola a sedere nei banchi insieme all’anziano ufficiale o comandante o direttore a seguire, più o meno, le stesse lezioni, gli stessi programmi, magari aggiornati dall’esperienza acquisita, di alcuni dei vecchi Professori (diciamo di 25 – 30 anni fa?). Non c’è da scherzare: ne va di mezzo la “perdita della patente”» sottolinea Costagliola. «Cosa direbbe la pubblica opinione se a uno stimato docente di pedagogia o di lettere, titolare di una cattedra universitaria, per poter mantenere la cattedra stessa venisse richiesto obbligatoriamente di ritornare indietro sui banchi di scuola e ricominciare dalle aste o dai cerchietti? Ho raccontato questa vicenda così incredibile ad un mio amico docente di pedagogia alla “Alma Mater” di Bologna chiedendogli cosa avrebbe pensato nel caso fosse imposta a lui una tale procedura. Mi ha semplicemente risposto: “Non esiste un limite alla stupidità”».