I giornali nazionali, non trattandola adeguatamente, rischiano di far passare quasi inosservata la notizia che l’Africa continua a rivestire un ruolo fondamentale nei piani della Cina, divenuta ormai ufficialmente il primo partner commerciale del continente africano.
Una notizia non da poco, se si riflette sul fatto che il paese più popoloso del mondo si lega a doppio filo a un continente ormai identificato da tutti gli analisti come quello destinato a svolgere un ruolo chiave nel secolo ventunesimo. Un evento sancito dalla fitta serie di incontri andati in scena nei giorni scorsi a Pechino tra il presidente cinese Xi Jinping e decine di capi di stato africani, con un passaggio di consegne consumato ai danni di chi per oltre un secolo ha esercitato indisturbato prima il ruolo di potenza coloniale e più di recente quello di partner: Francia e Regno Unito su tutti. Una circostanza foriera di sviluppi per i prossimi decenni che coinvolge la nostra esistenza di europei, dirimpettai di un continente come quello africano da sempre così vicino alle nostre sorti e non soltanto per questioni di immigrazione.
Oggi la Cina è divenuta il dominus indiscusso dell’intero continente nero ormai terra di conquista del gigante d’Oriente, come testimoniato dal nuovo pacchetto di investimenti per circa 60 miliardi di dollari destinati proprio allo sviluppo dell’Africa, una cifra monstre che fa il paio con lo stesso importo erogato tre anni fa in larga parte con investimenti unilaterali e prestiti senza interessi. Una politica più lungimirante di quella predatoria portata avanti nell’ultimo secolo almeno dal mondo occidentale, e che consente all’economia cinese in continua espansione di dotarsi delle tanto agognate materie prime di cui è povero il paese. Materie prime necessarie per l’avanzata industriale cinese, il petrolio anzitutto ma anche metalli di pregio come il rame, il cobalto e soprattutto territori ancora in larga parte vergini da destinare all’allevamento intensivo: una risorsa, la carne, divenuta sempre più necessaria per la nuova borghesia cinese, stanca di alimentarsi come nei decenni passati per lo più soltanto con il riso e oggi avida di quella
che un tempo era soltanto una chimera.
Il continente africano è ormai divenuto la terra promessa della repubblica popolare asiatica come testimoniato dalla sempre più massiccia presenza di cinesi trapiantati in pianta stabile ai quattro angoli dell’Africa, nella ben nota tradizione cinese di affidare gli affari e le imprese ai propri lavoratori a discapito della manodopera locale.
A ben vedere, la fame energetica cinese è una questione tutt’altro che accessoria per il mondo occidentale e, per guardare al cortile di casa nostra, per gli interessi italiani: basti pensare agli effetti della domanda incessante di idrocarburi da parte cinese e il ruolo strategico giocato in questo settore da paesi come la Libia o la Nigeria, presidi cruciali della nostra Eni. Senza trascurare l’importanza del mercato africano per il nostro sistema manifatturiero, e non soltanto quello delle armi, messo a repentaglio anche in questo settore dalle massicce esportazioni a prezzi imbattibili approntate dagli eredi di Mao Tse-tung, non a caso presenti sul terreno con la prima base militare allestita al di fuori dei propri confini, quella dell’ex colonia francese di Gibuti.
Come può l’Occidente, e in primis l’Europa, reagire a questa continua perdita di posizioni a discapito dello strapotere cinese? In realtà, come rappresentato dallo slogan “American first” ripetuto a ogni piè sospinto dal presidente Trump, è ormai chiaro a tutti che gli Usa abbiano deciso di abbandonare il campo africano per concentrare altrove le forze della battaglia commerciale globale scatenata dagli Usa con il cambio di presidenza. Una strategia che cozza in pieno con la storia, la geografia e gli interessi dell’Europa, da sempre tutt’altro che distaccata dalle vicende del continente africano.
Una divaricazione di interessi, quella tra Usa e Europa, che ha spinto alcuni analisti a intravvedere la concreta possibilità di un’alleanza commerciale tra il vecchio continente, primo mercato mondiale, e la Cina, primo esportatore. Un’alleanza che metterebbe in discussione gli storici rapporti con l’alleato d’oltreoceano, spingendo l’Europa verso scenari tutt’altro che rassicuranti per chi ha a cuore il nostro sistema di diritti e delle libertà fondamentali. Resta da comprendere quale sia il ruolo che intende giocare l’Europa: seguire come da tradizione la linea dettata dagli Stati Uniti oppure giocare in autonomia, nel perseguimento di un interesse comune che si fatica ad avvertire se non addirittura a immaginare. Con l’impressione che, adesso come sempre, tra i membri dell’Unione sarà una corsa a giocare ciascuno per il proprio tornaconto.
Nicola Silenti, destra.it