Oltre 34 miliardi di euro generati ogni anno, più di 20,5 miliardi di euro investiti per l’acquisto di beni e servizi e la garanzia di un impiego stabile e duraturo per gli oltre 529 mila addetti impiegati. Il cluster marittimo italiano celebra i suoi numeri con la pubblicazione del sesto Rapporto sull’economia del mare realizzato dalla Federazione del mare, l’organizzazione che riunisce le principali sigle dell’universo marittimo nazionale in tutti i suoi ambiti di espressione, dall’Assoporti all’Accademia mercantile, dall’Assonave al Collegio capitani, dalla Federpesca all’Ucina, dalla Federagenti a Confitarma. Un rapporto, alla cui realizzazione ha contribuito quest’anno anche SRM, che celebra i venticinque anni della Federazione e che costituisce, grazie alle analisi dettagliate proposte dall’istituto di ricerca Censis, il testo principale di ogni altra analisi o approfondimento a cura degli addetti ai lavori o degli studiosi del settore. Uno studio puntuale e dettagliato che offre al paese l’ennesima conferma di quanto il reale peso dell’economia marittima sia sottovalutato e sottostimato: «un iceberg» come ha detto in modo quanto mai efficace il presidente della Federazione Mario Mattioli «di cui si percepisce soltanto un ottavo della sua reale importanza».
Al netto delle opinioni di parte e degli slanci entusiastici di chi al mare dedica la gran parte del proprio tempo, per passione prima ancora che per mestiere, il rapporto consente anche ai più scettici, laddove ce ne fossero ancora, di appurare quanto il settore del mare sia un traino indispensabile e insostituibile per tutta l’economia italiana, con un valore prodotto in termini di importanza socio-economica e di ripercussioni occupazionali di portata strategica per ogni altro ambito della nostra economia.
Di certo l’analisi delle pagine salienti del Rapporto consente di registrare ormai come un dato acquisito lo stato di buona salute del settore del mare, la sua crescita generalizzata e le sue indiscutibili ricadute trasversali, individuando altresì con nettezza quanto sia importante garantire alla blue economy nazionale il sostegno del sistema Paese con investimenti più apprezzabili nella logistica e nei porti, oggi più che mai nodi strategici del sistema infrastrutturale italiano, sia a livello locale che nazionale. Una realtà, quella marittima, che meriterebbe ben altra attenzione dai soggetti pubblici che nel suo ambito operano, a maggior ragione da quando l’autorità e le competenze marittime sono state via via disperse tra più dicasteri con l’effetto irrimediabile di compromettere in modo forse insanabile la possibilità di elaborare una politica nazionale del settore e una sua reale ed efficace promozione in ambito europeo. Una politica nazionale trasversale tra le forze politiche e lunga decenni, che a molti del settore è apparsa subito scellerata e che ha generato il continuo, incessante appello di tanti tra gli addetti ai lavori per la ricostituzione di un ministero ad hoc a garanzia e tutela di un settore strategico non soltanto per la nostra economia, ma per la nostra anima di Nazione.
L’anima di un paese “condannato” dalla geografia e dalla storia a vivere di mare e a vivere per il mare, puntando così in modo più convinto sul sistema logistico di settore e ampliando le risorse del turismo crocieristico e degli scali più validi per l’esportazione oltremare delle merci del Made in Italy. Orizzonti e obiettivi di un paese che può vantare la prima flotta a livello mondiale di navi RoRo, quelle impiegate per il cabotaggio marittimo e il trasporto di passeggeri, la quinta flotta di bandiera tra i paesi del G20, la seconda tra le nazioni occidentali, la quinta di navi – cisterna per il trasporto di prodotti petroliferi.
Numeri d’eccellenza a fronte di un sistema portuale che oggi è il terzo in assoluto in Europa per volumi di merce trasportata, e che resta il più importante del Vecchio continente per movimento di navi da crociera. Un comparto marittimo, quello tricolore, che a dispetto dei pessimisti di professione e degli eterni scontenti conserva in modo indiscusso il primato mondiale nella costruzione di navi da crociera e di mega-yacht; con una flotta da pesca moderna ed efficiente e un settore come quello dell’acquacoltura in continua, inarrestabile crescita. Un comparto che registra da sempre successi impareggiabili grazie alla sua capacità di dotarsi di un sistema della formazione di grande pregio, garantendo così ricadute sull’intero apparato produttivo nazionale per un valore pari a oltre il 2 per cento del prodotto interno lordo.
Un ruolo fondamentale, quello dell’economia del mare, che merita di essere sostenuto e supportato da una macchina amministrativa nazionale meno improntata alla burocrazia e più orientata all’efficienza, da interventi legislativi più gratificanti di quelli adottati finora e da un’attenzione mediatica generale ben diversa da quella riservata attualmente. Un’attenzione che deve essere la logica e naturale conseguenza per chi custodisce gran parte del prestigio di un paese: un paese che non può e non vuole arrendersi a recitare la parte della comparsa nel feroce mondo globale oggi in via di definizione.
Nicola silenti
destra.it