I ricordi sono frammenti del passato che conserviamo nella nostra memoria.Possono essere esperienze vissute,emozioni provate,persone incontrate o luoghi visitati e non sono solo immagini mentali, ma anche sensazioni, profumi, suoni e pensieri che riaffiorano alla mente, spesso in modo spontaneo evocati da stimoli esterni, come una canzone, un oggetto, un luogo oppure un libro o una vecchia fotografia.
I miei ricordi di quando navigavo sono come mappe tracciate dal tempo, segni vivi di un’epoca in cui il mare era ancora una distesa di possibilità, un luogo di scoperta e avventura. Ho attraversato rotte che collegavano mondi diversi, dal fascino antico del Mediterraneo alle metropoli vibranti come San Francisco, dai porti brulicanti del Giappone alle calde acque dei Caraibi. Ogni luogo ha lasciato un segno, fatto di volti, colori e odori che si intrecciano nella memoria quando navigare significava vivere un periodo storico cruciale, in cui il mondo stava cambiando rapidamente. Le mie esperienze non sono solo viaggi fisici, ma anche testimonianze di un’epoca in cui i mari erano ancora il simbolo di una certa libertà e connessione tra i popoli. Ogni partenza era un salto nell’ignoto, ogni scalo una finestra su una cultura nuova, ogni notte in mare un dialogo silenzioso con le stelle.
Ma i mari che ho conosciuto, quei mari aperti e sconfinati, oggi non esistono più. Sono diventati scenari di conflitti, di interessi economici e strategici che si scontrano tra loro. Le rotte che un tempo percorrevo oggi sono attraversate da navi di guerra o bloccate da tensioni internazionali, e il senso di avventura è stato sostituito da un clima di diffidenza.
Gli spazi marittimi, un tempo vie di commercio e incontro, oggi sono diventati il cuore di una competizione globale sempre più intensa. Il Mediterraneo, che per secoli è stato il crocevia delle civiltà, è ora teatro di scontri tra interessi economici e geopolitici. Il suo orizzonte, un tempo segnato dal profilo delle navi mercantili, oggi è solcato da unità militari, pronte a difendere zone strategiche sempre più contese.
Ma il Mediterraneo non è l’unico mare ad aver perso la sua libertà. Anche l’Indo-Pacifico, un tempo immenso spazio di navigazione e commercio, è oggi teatro di una competizione serrata tra le grandi potenze globali, che si contendono l’influenza su rotte strategiche e passaggi obbligati. Le acque che bagnano le coste di India, Cina, Indonesia e Australia non sono più soltanto rotte commerciali: sono diventate trincee galleggianti, pattugliate da flotte militari e segnate da esercitazioni belliche che raccontano di un equilibrio sempre più fragile.
In questo nuovo scenario geopolitico, i mari non sono più semplici spazi da attraversare, ma veri e propri campi di battaglia per l’egemonia del futuro. Ho visto il Mar Rosso quando ancora conservava il fascino antico di una via liquida per l’Oriente, un corridoio blu che collegava il Mediterraneo all’Oceano Indiano, trasportando petrolio, merci e sogni tra mondi lontani. Era una rotta vitale, certo, ma anche serena, dove la navigazione seguiva il ritmo naturale del commercio.
Oggi, quel mare si è trasformato in una zona ad alta tensione, continuamente minacciata da conflitti regionali, atti di pirateria e tensioni geopolitiche. Gli stretti di Bab el-Mandeb e di Hormuz, sentinelle dei flussi commerciali tra Europa e Asia, vivono in un perenne stato d’allerta, dove il passaggio delle navi mercantili è spesso scortato da unità militari, e ogni incidente rischia di avere ripercussioni globali.
Il mare, che una volta univa, oggi divide. E lo fa in silenzio, tra le onde che non conoscono confini, ma che sentono il peso di nuove frontiere tracciate dalla paura, dalla forza e dall’ambizione. In questo contesto, la libertà della navigazione, tanto cara al diritto internazionale e alla storia millenaria dei traffici marittimi, appare sempre più come un principio teorico, spesso calpestato da interessi superiori.
Eppure, nonostante questa trasformazione, il mare conserva ancora la sua anima profonda. Ogni volta che guardo una nave all’orizzonte, penso ai giovani che oggi solcano quelle stesse rotte che io ho percorso tanti anni fa. Forse non vedranno più il mare come lo vedevo io, forse dovranno navigare con nuove regole e nuove paure, ma dentro di loro, se sanno ascoltare, sentiranno ancora il richiamo antico dell’oceano.
I miei ricordi sono la testimonianza di un mondo che forse non esiste più, ma che può ancora insegnare qualcosa. Perché il mare, con la sua vastità, non appartiene a nessuno e a tutti allo stesso tempo. Forse proprio in questi racconti si nasconde un messaggio: che i mari, nonostante le divisioni di oggi, possono ancora essere un simbolo di unità, se sappiamo ascoltare le storie di chi li ha attraversati.