La discussione sulla riorganizzazione del sistema portuale italiano evidenzia una mancanza di visione chiara e coordinata, nonostante si tratti di un tema cruciale per l’economia del Paese. Al centro del dibattito vi è la proposta di riforma della legge n. 84 del 28 gennaio 1994, che regola l’attuale gestione dei porti. La riforma introduce il concetto di “privatizzazione dei porti”, una misura che potrebbe trasformare radicalmente il modello operativo di uno dei settori strategici per il commercio e la logistica nazionali.
Questa riforma, però, si intreccia con la legge sull’autonomia differenziata, che prevede il trasferimento della gestione dei porti alla competenza esclusiva delle regioni. Un simile cambiamento solleva interrogativi rilevanti: quali saranno gli effetti su un sistema portuale già frammentato e caratterizzato da forti disparità tra le diverse aree del Paese? Inoltre, affidare una materia così strategica alle regioni potrebbe generare conflitti d’interesse e una mancanza di coordinamento su scala nazionale, minando la competitività complessiva del sistema.
Il dibattito attuale appare confuso e poco strutturato, con posizioni divergenti e proposte che mancano di una visione d’insieme. L’assenza di una strategia condivisa rischia di compromettere l’efficacia della riforma, creando ulteriori divisioni anziché migliorare l’efficienza e la sostenibilità del sistema portuale italiano. Una maggiore chiarezza sulle finalità e sugli strumenti della riforma è essenziale per garantire che i cambiamenti in atto non penalizzino il settore, ma lo rendano invece più competitivo e integrato nel panorama europeo e globale.
Dal 2018, la riforma della Legge 84/94 è stata indicata come uno degli obiettivi prioritari per il rilancio della portualità italiana con un impegno deciso per aggiornare la normativa e rendere il sistema portuale più moderno, competitivo e in grado di rispondere alle esigenze del commercio internazionale.
Con l’arrivo del Governo successivo nel settembre 2019, veniva ribadito l’urgenza di intervenire sulla governance degli HUB portuali, sottolineando la necessità di rafforzare il ruolo decisionale delle autorità di sistema. Tuttavia, nonostante l’importanza strategica riconosciuta al settore, le azioni concrete non sono mai state avviate.Poi nel febbraio 2021, il tema è tornato al centro del dibattito politico e veniva dichiarato che la logistica portuale rappresentava una priorità per migliorare l’efficienza del sistema economico italiano. Anche in questa occasione, però, le intenzioni non si sono tradotte in una revisione legislativa. Infine, con l’insediamento del Governo Meloni nell’ottobre 2022 è stata rilanciata l’idea di una riforma organica della Legge 84/94, evidenziando il ruolo cruciale del sistema portuale per il commercio italiano, da cui dipende oltre l’80% dell’import-export nazionale.
Nonostante l’importanza strategica della riforma, negli ultimi sei anni si sono tenuti almeno 60 convegni dedicati al tema, tutti incentrati su possibili linee di intervento, ma nessuna proposta concreta è stata formalizzata. Si è preferito seguire una logica di dibattito accademico, senza passare alla fase operativa di stesura e approvazione di un testo legislativo.
Nel frattempo, il settore portuale continua a scontare le inefficienze di una normativa ormai obsoleta, che non risponde più alle sfide della globalizzazione e delle nuove dinamiche logistiche internazionali. Gli HUB italiani soffrono di un deficit competitivo rispetto ai porti del Nord Europa, dove la capacità gestionale e l’interconnessione logistica rappresentano un modello avanzato.
Oltre ai ritardi nella riforma, un ulteriore rischio riguarda le prossime nomine dei presidenti delle Autorità di Sistema Portuale (AdSP), molte delle quali sono in scadenza. Se queste posizioni chiave verranno assegnate seguendo logiche politiche anziché basarsi su competenze tecniche e managerialità, si rischia di aggravare ulteriormente l’inefficienza del sistema.
Una riforma organica non può essere il risultato di dibattiti frammentati o influenzati da interessi settoriali. È necessario che il Governo adotti una visione strategica chiara, che consideri il sistema portuale come un elemento cardine per la competitività economica del Paese. Mancano meno di tre anni alla fine della legislatura, e il tempo stringe. Se non si interviene subito con un piano concreto, la mancata riforma rappresenterà un fallimento per il Governo e per l’intero sistema politico italiano, che da anni si dimostra incapace di affrontare con determinazione le sfide strategiche della portualità. Occorre passare dalle parole ai fatti, con una riforma che punti a rafforzare l’autonomia e il ruolo decisionale delle AdSP, integrare il sistema portuale con la rete interportuale e ferroviaria, promuovere investimenti mirati per migliorare l’efficienza e la sostenibilità e,infine, garantire una gestione basata su competenze tecniche e non su nomine politiche.
L’Italia ha una posizione geografica privilegiata che potrebbe farne un leader della logistica mediterranea e internazionale. Tuttavia, senza un intervento deciso e strutturato, questa opportunità rischia di essere definitivamente compromessa. Come già, modestamente anticipato su queste pagine, si ritiene che ci debba essere un massiccio intervento sui lavori da parte del CIPOM per dettare i tempi del Piano del Mare nella direttrice che introduce il ruolo della portualità.