Da giorni sulla stampa specializzata del settore portuale e logistico appaiono ricostruzioni e analisi fornite da fonti autorevoli che delineano un quadro allarmante sulla portualità italiana che merita attenzione e approfondimento sugli sviluppi in corso anche per stimolare una riflessione seria sul futuro della governance dei porti italiani, oggi vittima di giochi politici e logiche spartitorie che rischiano di paralizzare un comparto strategico per l’economia nazionale.
In un momento in cui la portualità italiana dovrebbe affrontare con determinazione le sfide del commercio globale e della transizione ecologica, si trova invece intrappolata in una paralisi istituzionale che rischia di protrarsi per mesi, se non anni. La causa? Non un’emergenza internazionale, né un imprevisto tecnico o logistico, ma la solita, logorante guerra per le poltrone all’interno della maggioranza di governo.
Le Commissioni Trasporti di Camera e Senato hanno sospeso tutte le votazioni relative alla nomina dei presidenti delle Autorità di Sistema Portuale (Adsp), in attesa che l’esecutivo trasmetta un pacchetto completo e definitivo di proposte. Una mossa che riflette l’evidente impasse generata dai contrasti tra Fratelli d’Italia e Lega – con Forza Italia sullo sfondo – circa la spartizione delle caselle chiave nei porti strategici del Paese.
Nel mirino non è finito solo il nome di Matteo Paroli, indicato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) per la guida dell’Adsp del Mar Ligure Occidentale (Genova, Savona e Vado),ma l’intero sistema portuale nazionale ostaggio di una rissa politica interna alla maggioranza.
Il Mit, sotto la regia del viceministro Edoardo Rixi (Lega), era riuscito finora a proporre alcuni nomi: oltre a Paroli, anche Antonio Gurrieri per l’Adriatico Orientale (Trieste e Monfalcone), Bruno Pisano per il Mar Ligure Orientale (La Spezia e Carrara) e Ciccio Rizzi per lo Stretto di Messina. Tuttavia, il caos regna sovrano negli altri scali, con situazioni di stallo che si trascinano da mesi. In Campania, ad esempio, il governatore Vincenzo De Luca non riesce a sciogliere il nodo tra la riconferma di Andrea Annunziata e la candidatura del segretario generale Giuseppe Grimaldi, mentre Rixi starebbe valutando un’alternativa esterna con il nome del broker assicurativo Carlo De Simone.
L’incertezza è aggravata dal fatto che la trasmissione delle proposte alle Camere, passaggio obbligato per l’approvazione, è ora bloccata in attesa di un’intesa politica di maggior respiro. Le Commissioni parlamentari chiedono che l’intero pacchetto venga inviato direttamente dalla Presidenza del Consiglio, evidenziando una sorta di delegittimazione del Mit guidato da Matteo Salvini, e richiamando implicitamente l’applicazione del classico “manuale Cencelli” per la distribuzione degli incarichi.
Il risultato? Una situazione di commissariamento diffuso, con presidenti uscenti che restano in carica per proroga o con i porti retti dai segretari generali in attesa di nuove nomine. L’Adsp del Mare di Sicilia Occidentale, guidata da Pasqualino Monti, è in scadenza il 13 luglio. Se si dovesse attendere la designazione anche per questo scalo, le nomine potrebbero slittare a dopo l’estate. Considerando la pausa estiva dei lavori parlamentari, si tornerebbe a discutere delle presidenze solo a fine settembre o addirittura in ottobre. E se il blocco dovesse riguardare l’intero sistema – incluse le autorità di Ancona, Catania e altri porti ancora in sospeso – la paralisi potrebbe estendersi fino al 2026.
Inaccettabile, inammissibile. L’Italia marittima, quella che vive di import-export, di logistica, di cantieristica e di intermodalità, non può permettersi il lusso di restare sospesa in questo vuoto decisionale. I porti sono infrastrutture strategiche, cuore pulsante del sistema produttivo e snodi fondamentali nelle rotte commerciali del Mediterraneo. Eppure, sembrano trattati come semplici pedine da spostare su una scacchiera politica, senza alcuna considerazione per la loro funzione economica e territoriale.
Il silenzio delle istituzioni del settore è altrettanto allarmante. Assoporti, che dovrebbe rappresentare con autorevolezza le istanze del sistema portuale, appare afona, incapace di esercitare una pressione reale sull’esecutivo. I sindacati, le imprese, gli operatori del cluster marittimo sembrano in attesa di un segnale che tarda ad arrivare.
Ma è proprio adesso che il mondo portuale deve alzare la voce. Serve un’azione collettiva, una presa di posizione forte e trasversale, capace di rimettere al centro il merito, le competenze, le esigenze reali degli scali italiani, al di là dei calcoli partitici. I porti italiani meritano una governance stabile, professionale, autorevole. Non possono restare ostaggio delle logiche spartitorie di partito, né essere sacrificati sull’altare degli equilibri di governo.
A rendere ancor più sconcertante la paralisi della portualità italiana è lo spettacolo – per nulla edificante – del conflitto tutto interno alla maggioranza di governo. Una guerra a bassa intensità, ma dai danni concreti, che oppone non soltanto i partiti, Fratelli d’Italia e Lega in testa, ma anche pezzi dello stesso apparato statale: il Mit guidato da Salvini con l’operatività del viceministro Rixi, il Ministero del Mare di Musumeci, rimasto ai margini se non del tutto ignorato, e infine la Presidenza del Consiglio, divenuta ora l’arbitro finale delle nomine.
Un cortocircuito istituzionale in piena regola, dove ognuno recita la sua parte e nessuno si assume la responsabilità di decidere. L’autonomia dei ministeri è svilita, la coerenza dell’azione di governo è compromessa, e il comparto portuale diventa l’ennesimo campo di battaglia tra veti incrociati, sgambetti e strategie personali.
È il segno evidente di una maggioranza che ha smarrito il senso dell’unità e dell’interesse nazionale. Se non si riesce nemmeno a nominare chi dovrebbe guidare i porti – snodi strategici della logistica e dell’economia reale – come si può pensare di governare con efficacia le vere emergenze del Paese?