Nientemeno che «spudorata, xenofoba, razzista e discriminatoria». Sembra riuscita appieno nell’obiettivo di catturare l’attenzione dei media e far parlare di sé la campagna promozionale lanciata in questi giorni dalle compagnie di navigazione Moby e Tirrenia, punte di diamante del gruppo armatoriale di Vincenzo Onorato. Una campagna incentrata sullo slogan “Naviga italiano”, condita dall’efficace motto “Scegli solo chi naviga italiano” e concepita per dare risalto alla caratteristica saliente delle compagnie dell’armatore campano e della sua politica aziendale: contare soltanto su personale di nazionalità italiana. Una politica da tempo nota e apprezzata da tanti nell’ambiente marittimo, ma a quanto pare indigesta ad alcuni che , con il loro comportamento specie sui social,hanno innescato l’effetto di amplificare la reclame in questione, dando una visibilità debordante alle due compagnie di navigazione.
Un battage che, in tutta evidenza, comunque la si pensi ha colto nel segno, anche grazie, se non soprattutto, al fulmineo tempismo dei soliti Soloni da tastiera.
Lungi dai gusti letterari e dalle simpatie di ciascuno, a nessuno può sfuggire che l’ondata polemica scatenatasi sui social contro la campagna pubblicitaria del gruppo Onorato nasconde un corollario di preconcetti e paraocchi culturali che si giustificano soltanto con una ignoranza della materia, una pressoché totale incompetenza nelle tematiche peculiari del comparto e una madornale sprovvedutezza degli elementi che connotano il mercato del lavoro della marineria italiana e internazionale. Uno svarione tout court che pare l’ennesima manifestazione tipica del disprezzo antropologico con cui una certa corrente pseudo intellettuale nostrana pensa di poter omaggiare il popolo bue: una tipica manifestazione di superiorità morale che in questo come in altri casi si accompagna al ben noto alone di indifferenza che da sempre il popolo riserva a questi presunti dispensatori di verità. Sarà che l’argomento lavoro sta a cuore soprattutto a chi un lavoro non lo ha o vive ogni giorno con lo spettro di perderlo: un’esperienza tristemente nota nel comparto marittimo, come sa bene chi frequenta il mare da un’altra prospettiva, spesso sotto coperta e troppo spesso senza limiti di orario.
Una congerie di assiomi per cui, se un armatore assume lavoratori marittimi extracomunitari sottopagandoli e magari sfruttandoli, la sinistra e il suo codazzo radical chic ne fanno un benefattore mentre chi difende il lavoro italiano e si ostina a voler garantire un futuro alle famiglie dei nostri connazionali è un razzista o uno xenofobo. Si vorrebbe mettere all’indice un imprenditore come Vincenzo Onorato che da tanti anni, cioè ben prima della pubblicità di questi giorni, scommette sulla qualità, la competenza e la preparazione del personale marittimo italiano, non a caso da sempre ai vertici delle classifiche mondiali del settore. Personale assunto nella quasi totalità dei casi con contratti a tempo indeterminato in numero superiore alle cinque mila unità, in ossequio a uno slogan pieno come non mai di vita vera e di realtà tangibile: sangue e fatica che conta ben più delle parole di chi si sente in diritto, non si sa bene in nome di quale investitura divina, di puntare il dito contro chi ha deciso da tempo, peraltro sul solco di una lunga e pregressa storia aziendale, di puntare sul lavoro italiano.
Una forza lavoro, la nostra, che a dispetto di ogni protezionismo o settarismo nazionalista è il fiore all’occhiello di una tradizione epica e gloriosa, costretta a scontare in questi drammatici anni le conseguenze di un mercato globale che, a dispetto della qualità e della competenza premia l’incompetenza e l’inesperienza nel sacrosanto nome dello sfruttamento e dell’impiego di manodopera a basso costo. Onorato da anni combatte quanti nell’ambiente marittimo non rispettano la nostra forza lavoro: un patrimonio inestimabile di uomini e donne che ha fatto la fortuna di tanti, compresi gli imprenditori smemorati che storcono la bocca davanti a chi non vuole smettere di battersi per la tutela del lavoro marittimo italiano.
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Nicola Silenti