Restituire competitività all’universo della blue economy assestando il colpo decisivo al grande nemico del comparto marittimo: la burocrazia. E’ questo il responso finale dell’assemblea annuale di Confitarma, la confederazione italiana che rappresenta le imprese di navigazione e i gruppi armatoriali italiani attivi nel settore del mare. Un’assemblea, quella di Confitarma, che ha visto il presidente Mario Mattioli formulare al governo di Giuseppe Conte un pacchetto di richieste precise e tassative cominciando a portare a compimento il tanto agognato piano di deburocratizzazione del settore, liberandone finalmente ogni slancio creativo e ogni impulso costruttivo repressi da una normativa che sembra concepita al solo fine di mettere i bastoni tra le ruote a chi desidera soltanto lavorare e crescere.
Una burocrazia che pesa su ogni singola nave del comparto per un insopportabile fardello che Mattioli quantifica « tra i 40 mila e i 100 mila euro l’anno», una cifra monstre che segnala un incomprensibile sovraccarico di costi per gli operatori nazionali: costi che la concorrenza comunitaria non deve sostenere.
Una richiesta forte e pressante che non si limita agli armatori, ma che da tempo vede schierati sulla stessa parte della barricata tutte le categorie del cluster marittimo. Sulla stessa barricata, ma ciascuno per conto proprio e ognuno in ordine sparso, come da tempo ci ostiniamo a scrivere e denunciare, in un clima generale in cui l’unica evidenza sembra il più totale disinteresse della politica per l’economia del mare, senza che nessuna risposta credibile sia giunta agli articoli, alle inchieste, alle analisi e alle riflessioni scritte e pubblicate da diversi anni a questa parte. Un disinteresse uguale a quello che da sempre accompagna le domande degli operatori più impegnati nel denunciare, con studi argomentati, relazioni fitte di cifre e analisi puntigliose delle figure più autorevoli, tutte le criticità di un comparto oggi più che mai vittima della noncuranza della politica tout court. Una politica, non ci stancheremo mai di ripeterlo, sempre tempestiva nel dichiararsi interessata e manifestare attenzione per le voci di protesta del comparto, ma immancabilmente assente quando si tratta di dare le doverose risposte.
Un deserto di atti e di gesti concreti della politica che per di più sembra andare bene a tanti, se non a tutti nell’universo del mare, diviso in mille rivoli di sigle e acronimi autoreferenziali e a sé stanti, un coro a mille voci dissonanti e discordanti di un mondo, quello del mare, vittima come non mai di chi crede di poter continuare imperterrito a coltivare il proprio orticello. E questo nonostante il clima di esasperazione generale dell’universo marittimo per i tanti riti e le mille pretese di una burocrazia da decenni ormai non più al passo coi tempi agitati e stringenti della concorrenza globale.
Una piaga che pesa come un macigno intollerabile su uno dei settori più virtuosi della nostra economia, orgoglio e vanto di un pilastro insostituibile del Made in Italy che oggi impiega circa 900 mila uomini e donne: un numero impressionante, che equivale a una quota del 3,5 per cento di tutta la forza lavoro italiana, per un giro d’affari complessivo che ammonta a oltre 32 miliardi di euro per il solo cluster marittimo e 130 miliardi come blue economy allargata, vale a dire circa il tre per cento del totale nazionale e un indotto generato così esteso da essere tuttora incalcolabile e, per molti versi, ancora sconosciuto.Un patrimonio di ricchezza, sviluppo e professionalità che non può essere svilito dall’inaccettabile congerie di “vincoli e lacciuoli dei procedimenti amministrativi”, come spiegato dal presidente di Confitarma, ma è una sfida che non può davvero portare al successo se non è accompagnata da un concreto piano di digitalizzazione della macchina amministrativa, un passo imprescindibile per riallineare la normativa italiana agli standard internazionali.
Un vero e proprio progetto di “Rinascimento” dell’universo del mare che non può più accontentarsi delle dichiarazioni di facciata e degli interventi di restyling: un percorso di rinascita che pretende l’istituzione di un nuovo ministero del Mare, e che non vuole né può compiacersi delle terapie di efficacia discutibilissima come la recente proposta di costituzione di una Direzione del mare insediata nell’ambito del ministero dell’Ambiente che dovrebbe essere operativa dal 1 gennaio 2020. Una sensibilità istituzionale distante anni luce dai tempi gloriosi del ministero della Marina mercantile, e che oggi fa da cornice a un quadro politico desolante che si mostra ai più privo di una visione d’insieme e refrattario al coinvolgimento in sede decisionale dei tecnici del settore, oggi più che mai inascoltati e anzi emarginati dalle scelte e dalle sedi decisionali. In pratica ci si augura che la politica si doti di una visione d’insieme del comparto marittimo nazionale per la sua importanza nella crescita economica del paese.
Le problematiche marittime comprensive,ovviamente,delle risorse umane devono essere recepite nella loro interezza già in seno ai dipartimenti e laboratori tematici dei singoli partiti in modo che ci sia un percorso base di riallineamento che non può fare a meno del supporto dello Stato che deve generare una decisa politica di incentivi a sostegno del comparto .Gli amministratori pubblici devono inoltre avere capacità di attingere alle risorse che l’Europa mette a disposizione per ridurre l’impatto ambientale e favorire la riconversione ambientale nella filiera dei trasporti.
Nicola Silenti
(destra.it)