La lunga onda della pandemia di Coronavirus continua imperterrita a seminare macerie sull’economia italiana. Una spirale devastante, quella del Covid 19, che sembra accanirsi con furia nel già provato comparto marittimo-portuale, da tempo alle prese con gli stessi drammatici numeri registrati in tutti i porti del pianeta con sostanziali riduzioni dei traffici di merci e di passeggeri. Un trend che non è sembrato invertirerotta nella prima metà di quest’anno, ma che nemmeno stavolta è riuscito nell’impresa di convincere un governo in carica della necessità di puntare investimenti, tecnologie e capitali pubblici sul terreno economico che più dovrebbe essere congeniale al nostro Paese, quello dell’economia del mare.
Eppure la recente istituzione di una “Consulta per le politiche delle infrastrutture e della mobilità sostenibili” attivato nell’alveo del ministero dei Trasporti aveva lasciato scorgere ben altre prospettive a chi da anni, del tutto inascoltato, si impegna nell’opera di sensibilizzazione delle istituzioni su questo fronte. Una creatura, quella concepita dal ministro Enrico Giovannini, che nelle intenzioni dovrebbe occuparsi di elaborare proposte e stime sull’impatto delle politiche e degli interventi del ministero e promuovere le decisioni più riuscite assunte dalle amministrazioni territoriali e dal comparto privato, con un’analisi dei costi della transizione ecologica che dovrà consentire di formulare proposte normative più “consapevoli”. Un’operazione comunque coraggiosa accompagnata per di più dal bando di un concorso pubblico per l’assunzione a tempo indeterminato di 120 ingegneri e geologi che verranno inquadrati in pianta stabile nell’organico del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile nell’ottica di un rinnovamento del thinkthank che dovrà proiettare l’Italia sui terreni economici più promettenti per gli anni a venire.
Basterà questa mossa per restituire l’Italia alla sua vocazione marinara? E’ molto presto per dirlo, e di sicuro non basterà questa pur lungimirante iniziativa. Aprire i palazzi in cui si assumono le decisioni alla società civile e alle organizzazioni di settore, alle associazioni dell’ambientalismo e alle rappresentanze sindacali è senz’altro un buon punto di partenza, ma non saranno le riunioni forse bimestrali di questa Consulta a imprimere il cambio di marcia che in tanti nel mondo marittimo si aspettano. Di sicuro non basterà un organo consultivo come quello appena varato a risolvere le criticità riscontrate in un universo, quello marittimo, flagellato dal cancro di una burocrazia che rende impossibile la vita dei marittimi a tutti i livelli, dal lavoro tout court all’attività delle capitanerie di porto, per non parlare di criticità ataviche come quelle degli esami professionali, le aberranti misure post STCW/2010, la pressante richiesta di reintroduzione dei titoli professionali (quelli normati dall’ex articolo 123 del Codice della navigazione), il riconoscimento dei tanti lavori usuranti in seno al comparto, i rapporti con l’INPS e le più recenti emergenze legate al COVID-19, come quella dei rimpatri.
A conti fatti, restituire all’Italia il suo innato ruolo di centro propulsore del Mediterraneo richiederà misure assai più drastiche, investimenti ben più onerosi, professionalità più cospicue, addestrate e consapevoli e provvedimenti assai più incisivi. Solo questo può aiutare a ridare vigore a un comparto capace come nessun altro di coinvolgere una miriade di realtà eterogenee eppure strettamente interconnesse, dallo shipping alla cantieristica navale, dalla filiera del diporto a quella ipertecnologica degli strumenti per la navigazione, dalla crocieristica e gli innumerevoli servizi di movimentazione passeggeri alle attività di assicurazione e dei servizi legati a un altro settore strategico, quello del turismo.
Un universo in continua evoluzione che pretende dal sistema della formazione professionalità sempre diverse e sempre più al passo con questi tempi frenetici: basti pensare ai settori della ricerca e della tutela dell’ambiente, delle biotecnologie marine e delle scienze naturali. Da tempo infatti in tanti nel mondo marittimo hanno compreso come a fare la differenza nella competizione globale sia soprattutto il fattore umano. Un esercito di uomini e donne che chiedono alle istituzioni coraggio, impegno e voglia di ripartire dall’anima vera di questo paese: il mare.