Dall’alba del primo millennio, gli italiani hanno scritto pagine straordinarie di mare e di vento, di viaggi impossibili e di destini intrecciati alle onde. Amalfi, Genova, Venezia e Pisa: città che furono potenze talassocratiche, fari di commercio e di cultura, capaci di proiettare l’ingegno della penisola ben oltre i confini del Mediterraneo. Accanto a loro, realtà più piccole ma non meno vitali come Ragusa di Dalmazia, Savona, Gaeta, Trani, Noli, Ancona. Un mosaico di porti e cantieri che pulsava come un unico cuore marinaro.

Era un’Italia che non temeva di varcare le Colonne d’Ercole, spinta dalla fame di ricchezza o, più semplicemente, dalla curiosità dell’ignoto. Navigavano su scafi fragili, affidando la propria sorte a vele e stelle, in balia dei marosi e delle bonacce. Erano mercanti, corsari, esploratori, sognatori: uomini mossi da una “lucida follia”, come la definirebbe oggi Marco Valle, autore di Andavano per mare (Neri Pozza,2025-Pagine 336), volume che ha riportato alla luce un patrimonio spesso dimenticato.
Storie come quella del veneziano Pietro Querini, che nel 1431 naufragò a nord della Norvegia trovando ospitalità presso i pescatori locali. Fu lui a riportare in laguna il baccalà, destinato a diventare piatto tipico della tradizione veneta. Oppure quella di Giovan Dionigi Galeni, calabrese ridotto in schiavitù dai pirati barbareschi e poi asceso, paradosso della sorte, al comando delle flotte ottomane. O ancora Benedetto Zaccaria, ammiraglio genovese del XIII secolo, capace di muoversi con la stessa abilità tra le repubbliche marinare e le corti bizantine.
Ma non mancano i nomi che hanno inciso la Storia con la S maiuscola: Cristoforo Colombo, che svelò i misteri dell’estremo Occidente, Amerigo Vespucci, Giovanni e Sebastiano Caboto, Antonio Pigafetta, testimone curioso e raffinato della prima circumnavigazione del globo. O più vicino a noi, figure come Luigi Rizzo, eroe della Grande Guerra, e Tino Straulino, marinaio e olimpionico, che coniugò la disciplina del marinaio con la leggerezza del signore del vento.
Ciò che accomuna questi protagonisti è l’irrequietezza, il coraggio e la sete di conoscenza. Una spinta che ieri come oggi anima chi affronta il mare, pronto a sacrificare comodità e sicurezze per guadagnare in cambio un bene inestimabile: la libertà. Come scrisse Vittorio G. Rossi, «il mare toglie molte cose, ma quello che dà nessuno in terra lo può restituire».
Eppure, l’Italia contemporanea sembra aver smarrito questo legame vitale. Troppo spesso ci siamo chiusi nei confini terragni, dimenticando che il mare è stato la nostra ricchezza e potrebbe ancora essere il nostro futuro. Lo capì Cavour, che alla metà dell’Ottocento restituì al neonato Regno d’Italia una dimensione marittima, ponendo le basi di una politica navale moderna. Oggi, nel secolo della blue economy, quella lezione torna attuale con urgenza.
Il filo blu che attraversa la nostra storia, dalle galee medievali al transatlantico Rex, dai velieri di Colombo ad Azzurra, da Enzo Maiorca a Giovanni Soldini, non è reciso: è semplicemente nascosto, dimenticato. Riscoprirlo significa riannodare i lembi di un’identità che ci appartiene da sempre. Raccontare quelle vite straordinarie, renderle memoria collettiva, non è un esercizio nostalgico: è un atto di visione.
Con Andavano per mare, Marco Valle non solo compie un lavoro di recupero storico, ma conferma la sua abilità di narratore colto e appassionato, già dimostrata in altre opere che intrecciano storia, geopolitica e cultura marittima. Giornalista e saggista, Valle ha dedicato gran parte della sua carriera a indagare i rapporti tra l’Italia, il Mediterraneo e l’Europa, mettendo sempre al centro il mare come protagonista silenzioso della nostra identità soprattutto con Patria senza mare (2022), un atto d’accusa e insieme un appello a riscoprire la dimensione marittima del nostro Paese.
La sua penna, capace di muoversi con agilità tra il saggio e il racconto, restituisce al lettore il respiro del mare e la voce dei suoi protagonisti, in un viaggio che è al tempo stesso memoria e progetto. Valle non scrive mai solo di passato: la sua è una scrittura che parla al presente e apre domande sul futuro, soprattutto sul destino marittimo dell’Italia.
Il mare è stato la nostra culla e può tornare ad essere il nostro orizzonte. Basta solo ricordare che l’Italia, prima che un Paese “terricolo”, è stata e può tornare ad essere una grande nazione di navigatori.
In copertina Marco Valle