«L’ennesimo sgarbo all’orgoglio e alla dignità della gente di mare». E’ grande l’irritazione dei tanti marittimi italiani costretti da una recente circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti alla frequenza obbligatoria dei corsi direttivi per comandanti e direttori di macchina. Un’imposizione riservata a migliaia di lavoratori tra i più qualificati ed esperti del comparto marittimo, tutti già in possesso del titolo professionale eppure obbligati a seguire dei corsi di studio concepiti al solo fine di poter continuare a lavorare.
Responsabile della Delegazione di Cagliari del Collegio nazionale capitani di lungo corso e capitani di macchina, l’ammiraglio Nicola Silenti ha da subito levato la sua voce, tra le più autorevoli e ascoltate nell’ambiente marittimo, contro un provvedimento definito con forza «una vergogna».
Perché tanta avversione per la decisione del Ministero? Cosa c’è di tanto grave in questo provvedimento?
«La circolare del Ministero è solo l’ultimo trionfo, l’ennesimo, della burocrazia sulla pelle dei lavoratori. In origine si trattava di adeguare alla nostra normativa una convenzione internazionale, a cui l’Italia ha aderito, con il solo scopo di stabilire gli standard formativi minimi di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi. Una formalità, quindi, che però si è trasformata in una beffa, di cui dobbiamo ringraziare chi ha fatto confusione tra percorsi formativi e certificazioni, introducendo l’obbligo per i comandanti e i direttori di macchina già in possesso del titolo di frequentare dei corsi direttivi per poter continuare a lavorare. Corsi di 300 e 570 ore con uno strascico di spese e perdite di tempo che i marittimi non si possono permettere. Ore preziose sottratte al lavoro e alla famiglia, e tutto questo per corsi con cui si pretenderebbe di insegnare a un comandante con un’esperienza di decine d’anni a “pianificare la traversata e dirigere la navigazione”. Ecco perché ho parlato senza mezzi termini di una vera e propria vergogna».
Quali saranno le conseguenze di queste disposizioni del Mit per i marittimi sardi?
«Nell’Isola non sono stati ancora attivati corsi direttivi, pertanto i marittimi interessati dal provvedimento ministeriale dovranno rivolgersi ad altre realtà del continente, con un dispendio ancora maggiore in termini di tempo e denaro. Pensi a cosa significherà questo per i marittimi interessati in termini di tempo da spendere per i corsi e da sottrarre al lavoro, costi da sostenere per la frequenza, per gli spostamenti, il vitto e l’alloggio. Una vera iattura, per di più in un momento in cui le energie di tutti dovrebbero essere concentrate nel risollevare le sorti della nostra marineria».
Quale futuro intravede per il comparto marittimo in Sardegna?
«In realtà, i segnali positivi di reazione e di vitalità del nostro mondo non mancano, ma occorre sostenerli. Siamo gente reattiva e combattiva, e abbiamo una sconfinata fiducia nei giovani. Una fiducia testimoniata, per fare un esempio concreto, dai 23 allievi specializzati lo scorso anno dall’Istituto tecnico superiore di trasporti e logistica Mo.So.S. di Cagliari: ragazzi preparati e qualificati che, in un tempo brevissimo dal conseguimento del titolo, sono entrati in pianta stabile nel mondo del lavoro. Un esperimento di successo che si replica in questi giorni con un nuovo gruppo di 22 diplomati dai vari nautici dell’isola che al termine del primo periodo formativo – 4 mesi – andranno a ricoprire nel settore marittimo posti di lavoro sui ponti di comando e in sala macchine per le navi maggiori».
Insomma, dai banchi di scuola ad un lavoro vero con l’auspicio di un più deciso intervento degli enti preposti alla formazione della gente di mare per migliorare la qualità della professionalità con nuovi modelli formativi.
Gianmichele Pau
(admaioramedia.it)