Ci sono scritti che, con il passare del tempo, rischiano di rimanere sepolti tra le pagine ingiallite degli appunti, sommersi da nuove idee e da una continua produzione di pensieri. Ma ogni tanto, nel rimettere ordine tra le carte, riaffiorano testi che spingono a reclamare nuova attenzione. E’ il caso di un dettagliato articolo dal titolo”La paura che ci fa quella distesa oscura” scritto dal nostro direttore Marco Valle nel numero di settembre 2023 sulla rivista sindacale “Pagine Libere”. Rileggendolo oggi, ho ritrovato in esso spunti ancora attuali e notazioni che sembrano arricchite dalla prospettiva del presente. Il testo è una riflessione molto approfondita e stimolante sulla centralità del Mediterraneo per l’Italia dal punto di vista politico,economico e strategico con varie problematiche ma anche con opportunità da cogliere specie considerando la crescente importanza della blue economy. Nei suoi punti chiave troviamo il Mediterraneo come fulcro strategico e nodo dei traffici globali, la centralità economica del mare per l’Italia , il disinteresse politico verso il mare ma in aggiunta segnali di speranza con il nuovo Ministero del Mare guidato da Nello Musumeci ed infine la necessità di una vera cultura del mare perché l’Italia ha bisogno di una “marittimità come priorità della nostra narrazione nazionale che stimoli in tutti una riflessione profonda sul ruolo del mare nella nostra identità nazionale”.
Eppure, nonostante la sua centralità strategica, il nostro Paese continua a soffrire di una miopia culturale e politica che nega al mare il ruolo che meriterebbe. Vale la pena di ricordare che la economia del mare in Italia vale circa 180 miliardi di euro, la flotta mercantile italiana è l’undicesima al mondo, mentre la nostra flotta peschereccia è la terza in Europa. I porti, la cantieristica, il turismo nautico e le infrastrutture marine costituiscono pilastri imprescindibili per l’economia nazionale con 228mila imprese operanti nel settore e1.040 mila lavoratori e quindi il mare costituisce indubbiamente una risorsa vitale.
In un contesto globale in cui la blue economy e la transizione ecologica rappresentano sfide cruciali, Marco Valle non manca inoltre di citare i percorsi formativi degli ufficiali italiani, che deve essere riconsiderata come una priorità strategica, ed il rimando alla abolizione dei titoli professionali marittimi. L’Italia ha una lunga storia di eccellenza nella formazione marittima, con istituti nautici che rappresentavano l’avanguardia nel Mediterraneo. Tuttavia, la frammentazione delle competenze tra diversi ministeri e la mancanza di un coordinamento centralizzato — aggravata dalla soppressione del Ministero della Marina Mercantile nel 1993 — ha penalizzato gravemente questo settore ed ecco quindi la speranza nel dicastero guidato da Musumeci che potrebbe diventare il fulcro di una nuova politica marittima italiana, capace di coordinare le diverse funzioni oggi disperse tra otto o nove ministeri. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: creare una visione integrata che metta il mare al centro dello sviluppo economico e della proiezione geopolitica italiana.
Il testo inoltre, a mio parere, merita una riflessione sulla parola ”marittimità” che viene spesso accostata alla “portualità”. La marittimità è un concetto più ampio e generale che indica la relazione di un territorio, di una comunità o di una economia con il mare e comprende non solo gli aspetti economici legati alla navigazione e al commercio ma anche quelli culturali, storici e ambientali. La marittimità riguarda, ad esempio, la vocazione marinara di una nazione, l’industria della pesca, la tradizione navale e la normativa marittima. La portualità invece è un concetto più specifico e tecnico, riferito all’insieme delle infrastrutture, delle attività e della gestione dei porti, la logistica marittima e il traffico e quindi è un elemento della marittimità ma non la esaurisce. Un paese può avere una forte marittimità senza necessariamente avere una portualità sviluppata. Al contrario un porto efficiente può trovarsi in una nazione con scarsa marittimità. E’ quindi quando noi parliamo di “Gente di mare” parliamo del cuore e della parte più umana della marittimità: ufficiali, marinai, pescatori, piloti e tutti coloro che lavorano a contatto con il mare, rendendo viva la marittimità e dare un senso alla portualità. Un paese con forte marittimità protegge la gente di mare, un sistema portuale avanzato può migliorare la qualità della vita dei marittimi ma senza una vera cultura marittima si rischia di dimenticare il lato umano della navigazione. In conclusione in questo legame tra marittimità, portualità e gente di mare troviamo il vero cuore pulsante del mondo marittimo.