l futuro della marineria italiana si gioca attorno al tema dell’occupazione. Un questione centrale che interessa la vita di migliaia di famiglie, uomini e donne in carne e ossa che reclamano da tempo da aziende e istituzioni più rispetto, più ascolto, più attenzione.
Ma chi sta davvero dalla parte dei marittimi italiani? E chi si impegna in concreto per difenderne il posto di lavoro, o creare nuove occasioni di reimpiego per chi il lavoro non lo ha più? Per diradare le ombre intorno a un interrogativo tanto spinoso occorre concentrare l’attenzione sul conflitto da tempo in corso tra le diverse anime dell’armamento marittimo nazionale a proposito delle regole d’imbarco dei lavoratori sulle navi impegnate nel cabotaggio nazionale. Un conflitto che vede impegnati da una parte coloro che richiedono sostegni e incentivi per le compagnie marittime italiane a prescindere dalla nazionalità del personale di bordo, e dall’altra chi pretende che a essere premiate siano soltanto le compagnie che imbarcano personale italiano e comunitario. Una querelle tanto insidiosa e dirompente da avere generato spaccature profonde nello stesso universo marittimo, diviso tra le istanze sostenute dalla Confederazione italiana degli armatori Confitarma e la Fedarlinea supportata da Vincenzo Onorato, l’armatore napoletano autore di un clamoroso addio alla stessa Confitarma consumato con una lettera pubblica di denuncia contro l’estensione degli sgravi fiscali previsti per la bandiera italiana anche alle compagnie estere che imbarcano lavoratori marittimi extracomunitari. L’impiego di manodopera non comunitaria, che troppo spesso ha significato l’impiego di personale non qualificato e sottopagato, e comunque a un costo assai inferiore di quello italiano con concorrenza insostenibile a tutto discapito dei lavoratori dello Stivale.
Appare così in tutta evidenza che quella del lavoro è molto di più di una semplice questione di sgravi fiscali, bensì l’elemento cardine al centro di ogni visione strategica del futuro della marineria italiana. Un futuro che sembrava farsi di nuovo promettente per la forza lavoro di casa nostra all’indomani dell’approvazione, il 29 ottobre dello scorso anno, del decreto legislativo ribattezzato Legge Cociancich: un provvedimento che prescrive l’imbarco dei soli marittimi italiani o comunitari sulle linee di cabotaggio nazionale. Una legge accolta da tanti nell’ambiente marittimo come il tanto atteso punto di svolta, ma che è rimasta tale soltanto sulla carta e «non è mai diventata esecutiva».
Armatore Onorato, perché la recente approvazione della Legge Cociancich non basta a far tirare un sospiro di sollievo ai marittimi italiani?
«Ho lottato per l’approvazione della legge Cociancich, una legge che ho fortemente voluto per salvare quella che io chiamo la “riserva indiana dei marittimi italiani”, ossia il cabotaggio. La Cociancich è diventata legge ormai da molti mesi, ma non è stata espletata una semplice formalità: la notifica a Bruxelles. Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sostiene che la debba notificare il ministero dell’Economia, e a sua volta il ministero dell’Economia sostiene che sia il MIT a dover notificare il provvedimento all’Europa. Quello di rimpallarsi le responsabilità è un chiaro espediente all’italiana, che ha il solo obiettivo di far ritardare la legge».
Nel corso di questo braccio di ferro da chi ha trovato sostegno nella difesa dei lavoratori?
«Io ritengo che abbia ragione chi afferma che i marittimi siano soli senza un sindacato che li tuteli. La triplice Cgil – Cisl e Uil ha firmato un accordo con Confitarma per fare “accordi di flotta” e consentire anche nel cabotaggio per le isole l’impiego di marittimi extracomunitari”.
Perché oggi a difendere le ragioni dei marittimi dovrebbe essere un armatore come lei?
«Detengo l’assurdo record di avere tutte navi battenti solo bandiera italiana, con a bordo circa 4 mila e 500 marittimi italiani. Che cosa dovrei fare? Sostituire gli italiani, la mia gente, con extracomunitari, a 300 dollari effettivi al mese? Farei più soldi, certo, ma poi? Io ritengo di poter riuscire a mettere il piatto in tavola mantenendo la mia coscienza a posto. Con la legge 30 del ‘98 gli armatori hanno ottenuto la quasi totale defiscalizzazione, sgravi Inps e Irpef per i marittimi. La mia posizione è chiara: gli armatori vogliono questi assurdi quanto anacronistici privilegi? Io rilancio, chiedendo che sulle navi italiane siano impiegati solo marittimi italiani e comunitari per la tabella di esercizio – sicurezza».
Nicola Silenti
destra.it