Si sono concluse a Roma, nella suggestiva cornice della Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano, le Giornate del Mare 2025 organizzate da Limes, che quest’anno hanno avuto come titolo “Il Mediterraneo tra i mari in guerra”.
L’appuntamento, giunto alla sua sesta edizione, ha confermato il valore di un’iniziativa che unisce analisi geopolitica e riflessione strategica, in un momento in cui il mare torna al centro della competizione globale.
In due giornate dense di dibattiti e relazioni (18 e 19 ottobre), esperti, analisti, ufficiali di Marina e studiosi hanno affrontato i temi più urgenti della sicurezza marittima internazionale, dalla guerra russo-ucraina alla rivalità tra Israele e Iran, dalle tensioni nel Mar Rosso alla crescente militarizzazione dell’Artico e del Pacifico. Tutte crisi che, in forme diverse, finiscono per convergere nel Mediterraneo, rendendolo non solo uno spazio geografico, ma un vero teatro geopolitico in cui si incrociano interessi economici, strategici e culturali di portata globale.
La relazione introduttiva di Lucio Caracciolo, significativamente intitolata “Dal Venezuela al Venezuela”, ha tracciato un filo logico tra le crisi ai margini del mondo e le loro ricadute sul bacino mediterraneo, da sempre crocevia dei poteri e delle ambizioni globali.
Nei panel successivi si è discusso del Mar Nero come linea di faglia tra Europa e Russia, del Mar Rosso come nuovo campo di battaglia tra Teheran e Gerusalemme, e dell’Artico e Baltico come proiezioni settentrionali della potenza americana.
Particolarmente atteso l’incontro dedicato all’Italia e al Mediterraneo allargato, con gli interventi dell’Ammiraglio Massimiliano Lauretti, di Germano Dottori, Francesco Zampieri e Nicolò Carnimeo, che hanno riflettuto sul ruolo del nostro Paese in un sistema marittimo globale sempre più instabile.
La questione del riarmo navale, affrontata nella conversazione tra l’Ammiraglio Aurelio De Carolis e Lucio Caracciolo, ha messo a fuoco un punto centrale: l’Italia, potenza marittima per storia e posizione, dispone oggi degli strumenti e della volontà politica necessari per difendere i propri interessi strategici sul mare?
Il dibattito ha evidenziato una consapevolezza crescente: non esiste sicurezza nazionale senza sicurezza marittima. I mari, da vie di transito, sono tornati a essere teatri di confronto e strumenti di potere.
Accanto al dibattito, la mostra cartografica “Mare interrotto” di Laura Canali ha raccontato, con la potenza evocativa delle mappe, la frammentazione del nostro mare. Dodici carte che illustrano un Mediterraneo attraversato da faglie di guerra, minacciato dagli attacchi degli houti nello Stretto di Bab al-Mandeb, dalle tensioni in Gaza e dalle conseguenze del conflitto russo-ucraino.
Un mare interrotto, dunque, ma ancora vitale, la cui sorte continua a riflettere quella dell’Europa intera.
È in questo contesto che la provocazione “Mediterraneo allargato o ristretto?” assume pieno significato.
Può il nostro mare, oggi, essere ancora definito “allargato”, secondo il concetto strategico che lo vede estendersi dal Golfo di Guinea all’Oceano Indiano, oppure le crisi in corso lo stanno riportando entro i confini di una mera dimensione geografica, privandolo della sua centralità economica e politica?
Il concetto di Mediterraneo allargato nacque proprio dalla constatazione che questo bacino non è solo un mare interno, ma un “medio oceano”, collocato sulla via marittima più breve e più importante tra Atlantico e Indiano. Una cerniera di traffici, culture e potenze, attraversata da rotte commerciali e tensioni geopolitiche che lo collegano a un sistema di mari più vasto e interdipendente.
Oggi però, con la crescente impraticabilità del Mar Rosso e i rischi legati agli attacchi contro le navi mercantili, molti armatori preferiscono circumnavigare l’Africa. Questo comporta un progressivo isolamento del Mediterraneo, che perde parte della sua funzione di corridoio privilegiato tra Asia ed Europa, penalizzando i porti italiani e spostando i flussi verso l’Atlantico, da Tangeri a Rotterdam.
Un rischio aggravato dall’apertura delle rotte artiche, rese via via più percorribili dallo scioglimento dei ghiacci, che potrebbero ridisegnare i percorsi globali del commercio marittimo.
In prospettiva, il Mediterraneo rischia di trasformarsi da “mare allargato” a “mare ristretto”, confinato nella sua storica dimensione geografica e marginale rispetto alle grandi direttrici del mondo.
Eppure, proprio questa fase di crisi dovrebbe spingere l’Italia e l’Europa a riaffermare la visione opposta: quella di un Mediterraneo ancora allargato, al centro di un sistema globale che coinvolge Africa, Vicino Oriente e Asia.
Perché ridurre la prospettiva significherebbe abbandonare una parte essenziale della nostra proiezione internazionale e della nostra stessa identità marittima.
Il Mediterraneo non è soltanto una rotta commerciale: è un laboratorio di civiltà, un ponte di connessioni e conflitti, un archivio vivente di storia.
Difendere la sua centralità significa garantire la libertà dei mari, la sicurezza delle rotte energetiche, la stabilità delle sponde africane e mediorientali e, non da ultimo, la continuità della presenza italiana come potenza marittima.
Le Giornate del Mare di Limes hanno avuto il merito di ricordarci questo: che il Mediterraneo non è mai un mare qualunque, e che la sua sorte è la nostra.
In un mondo dove le rotte cambiano, i mari si riarmano e le potenze si confrontano sugli oceani, l’Italia può ritrovare il proprio ruolo solo riscoprendo la vocazione che le appartiene da sempre: quella di Paese marittimo, aperto, consapevole della propria posizione e della propria responsabilità.
Perché, come ricordava il titolo dell’edizione precedente, “tutti gli oceani portano a Roma” – ma solo se Roma saprà guardare di nuovo verso il mare.

