Una materia mai vagliata, ponderata e compresa davvero da istituzioni e media e confinata nella grande nebulosa delle cose che gli italiani conoscono male e soltanto in modo superficiale. L’economia del mare è uno dei pilastri portanti dell’economia complessiva, dell’impresa e del lavoro italiano a dispetto di una coltre di ignoranza e inconsapevolezza generale sull’argomento che si fatica a comprendere. Una coltre contro cui ha aperto una prima, timida breccia la recente pubblicazione speciale edita in allegato a Il sole 24 ore dall’emblematico titolo “L’economia del mare”: un dettagliatissimo quadro d’insieme del comparto marittimo su cui ha indagato col solito piglio brillante il capitano Tobia Costagliola, firma tra le più autorevoli della stampa di settore e stimato decano del comparto grazie ai tanti anni di impiego in prima linea prima con la famiglia Lauro e in seguito con i principali e più prestigiosi gruppi italiani del settore.
Capitano Costagliola, da qualche tempo sembra che anche la grande stampa nazionale stia cominciando ad accorgersi della portata dirompente dell’universo marittimo e delle sue molteplici voci sull’economia nazionale.
«Finalmente, vien da dire! E’ da tanto che insistiamo con vigore affinché anche i media generalisti comincino a occuparsi di una materia mai così tanto ignorata, e lo facciamo perché il nostro obiettivo è fare in modo che gli italiani sappiano una buona volta di cosa si sta parlando. Per questo va registrata con favore questa iniziativa editoriale che riporta al centro del dibattito, con l’analisi dell’economia marittima nazionale, i veri termini della questione».
Che cosa oggi gli italiani ancora ignorano della nostra economia marittima?
«Gli italiani ignorano la portata strategica di un settore cruciale per la vita del nostro Paese. Per rendere l’idea della portata della questione basti un solo dato relativo al presente, e cioè che ben un terzo dell’export italiano (per un totale di circa 120 miliardi di euro) passa proprio dal mare. E se pensiamo al futuro e alle prospettive di crescita del comparto basta guardare davanti alle nostre coste al mare Mediterraneo, oggi più che mai sbocco strategico delle merci soprattutto ora che il Canale di Suez ha raddoppiato le possibilità di transito delle navi. Uno scenario che non ha certo colto di sorpresa la Cina, che ha deciso di scommettere sull’Italia puntando ingenti capitali nella sua colossale operazione di definizione della nuova via della Seta».
In quali condizioni arriva l’Italia davanti a questa sfida epocale? Abbiamo manodopera, infrastrutture e aziende all’altezza?
«Il punto è proprio questo, e sarebbe bene che gli italiani sapessero davvero quale tesoro custodiamo nelle nostre mani. L’Italia rappresenta l’eccellenza della cantieristica mondiale nella costruzione delle navi che le nuove rotte euro asiatiche richiedono: le nuove grandi navi per una platea mondiale di passeggeri oggi davvero globale e dalle potenzialità infinite, in un mondo che vede al turismo per mare non più come a un’esperienza riservata per pochi. Ma l’Italia ha anche il primato nella costruzione degli yacht, specie quelli di lusso, e degli superyacht, senza trascurare l’immensa offerta delle nostre aziende nella produzione di unità da diporto di ogni classe, dato non secondario per un paese in cui il turismo mobilita almeno 30 miliardi di euro».
Al netto dei nostri punti di forza e delle nostre tradizioni di eccellenza, dove il comparto marittimo può ancora crescere? Di cosa c’è bisogno per sostenere il settore?
Anzitutto di infrastrutture, e in particolare di un adeguamento dei nostri porti che li renda in grado di accogliere i nuovi giganti del mare, passeggeri o merci che siano. E di un adeguamento amministrativo, che consenta una rapida messa a regime delle nuove authority, ancora non pienamente operative, e un intervento risolutore sul contenzioso fiscale aperto sui canoni di 26 marine.
E sul versante del cosiddetto capitale umano?
Il tema della formazione è un altro tassello strategico nella competitività del comparto, con una scuola secondaria, quella dei nautici, capace di portare in tempi ridotti alla piena occupazione della gente di mare. Meno entusiasmante è la questione occupazionale nell’ambito della pesca, dove le ingenti importazioni, la concorrenza nordafricana e le astruse regole dell’Unione europea penalizzano in modo tangibile gli oltre 25 mila pescatori italiani. Lavoratori che hanno bisogno come non mai di interventi di sostegno e tutela.
Nicola Silenti
destra.it