Talvolta il mare è molto di più di quello che si vede e si trasforma, oltre che in ispirazione, in destino, in rotta, con tutte le sfaccettature che ne conseguono. Quando raggiungo telefonicamente Nicola Silenti, Capitano di Lungo Corso nato a Procida e ormai stanziato a Cagliari da tempo, ancora mare, inutile ribadirlo, la sua voce è pacata, tranquilla, come uno di quei giorni in cui le onde sono così brevi e pacate da sembrare quasi immobili. Ogni tanto, quando parliamo di ricordi, della sua isola, delle volte in cui riesce a tornare, la voce si “ solleva”, proprio come farebbe un’onda, agitata dal passaggio di una barca, da un improvviso cambiamento delle correnti, del vento. Nicola Silenti è il mare, e non sto esagerando. C’è mare nella sua infanzia, nei suoi affetti legati al mare o che hanno dovuto sopportare il mare e la distanza che ha generato, c’è mare nel suo modo di affrontare la vita, di lasciarsi trasportare laddove era destinato. Ha navigato su navi mercantili e passeggeri, dalla M/N Lucrino della Flotta Lauro, passando alle petroliere della Getty Oil Company, fino ai transatlantici impegnati in rotte che hanno toccato New York, i Caraibi e le Bahamas. Giornalista, scrittore, insignito dell’Onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, decorato con le medaglie per il lungo comando e la lunga navigazione, delegato in Sardegna del Collegio Nazionale Capitani, è stato anche membro del Consiglio Direttivo della Federazione del Mare. In tutto ciò la presenza del suo liquido compagno ed alleato. Come una costante, un sigillo. Una bandiera. Nicola ha tante storie da raccontare, tutte appunto contenute in quel suo tono di voce che rimanda a porti, merci, volti, esperienze, scafi, prue, prore, gomene vele, tempeste, bonaccia. Lo ha fatto. Ha deciso di raccontare. Non a caso ci “ incontriamo” telefonicamente per parlare del suo libro “ Le Rotte e le Radici. Storie di mare e di famiglia”, più che un testo di memorie, un diario di bordo appunto. Tra le pagine, il mare è tutto: protagonista, scrittore, voce fuori campo, regista, sceneggiatore, direttore, guida, compagno.
Nicola, quanto mare c’è ancora nella tua vita, intendo come modo di pensare, di affrontare le sfide quotidiane?
Il mare è ancora tutto dentro di me, nonostante gli anni trascorsi a terra. È uno sguardo, un modo di sentire la vita, una misura interiore delle cose. Ho imparato a fidarmi del silenzio, a rispettare il tempo, ad affrontare le difficoltà senza clamore, come si fa in navigazione, quando le onde si alzano e bisogna mantenere la rotta. Il mare mi ha insegnato a non avere paura della solitudine e a riconoscere l’essenziale in ogni circostanza.
La tua vita è stata caratterizzata da episodi emblematici e da un continuo confronto umano, culturale con Paesi e realtà diverse. Come ti hanno cambiato queste esperienze? E in cosa avverti, ancora oggi, la matrice di quel cambiamento?
Il mare mi ha portato lontano, ma soprattutto mi ha fatto entrare in contatto con culture, lingue e volti che hanno lasciato un segno profondo. Quelle esperienze hanno abbattuto barriere e pregiudizi, mi hanno insegnato a guardare l’altro con curiosità e rispetto. Ancora oggi, quando affronto un problema o un’incomprensione, cerco quel passo indietro che ho imparato a fare a bordo, per osservare con calma, per ascoltare prima di giudicare.
Il tuo lavoro non fa certo pensare alla solitudine o alla malinconia, ma ci sono stati dei momenti in cui ti sei sentito esattamente così?
Assolutamente sì. Il mare sa essere anche crudele, soprattutto quando ti allontana da chi ami. Ci sono stati momenti di malinconia profonda, notti in oceano in cui il pensiero correva a casa, agli affetti, ai giorni che passavano in silenzio. La solitudine in mare non è un’eccezione, è una compagna discreta, che bisogna imparare ad accogliere. Ma è anche in quei momenti che si impara a conoscersi davvero.In fondo John Milton diceva”la solitudine talvolta è la miglior compagnia”.
Nel libro descrivi tanti momenti degni di memoria. Ma quello che, inesorabilmente, ti porterai sempre nel cuore?
Ce ne sono tanti, ma forse uno in particolare: la prima volta che, durante una notte di guardia, vidi la Croce del Sud. In quel cielo terso, lontano da tutto, sentii un legame ancestrale con i naviganti di ogni tempo. Era come se la rotta non fosse solo geografica, ma anche interiore. Quel momento mi ha fatto capire che non ero soltanto un marinaio, ma parte di una storia più grande.
Sei di Procida, solitamente si dice che gli isolani hanno qualcosa di diverso da chi vive e nasce sulla terraferma. Riconosci questa caratteristica in te? E credi che avere tanto mare intorno ti abbia in qualche modo influenzato nella tua scelta di vita?
Sì, assolutamente.Per chi nasce su un’isola con unica scuola superiore il Nautico il mare non è solo un confine, è un orizzonte naturale. Da bambino lo osservavo ogni giorno, da ogni punto dell’isola, e mi sembrava chiamarmi. Crescendo, ho capito che quella chiamata era la mia vocazione.
All’inizio del libro riporti una frase bellissima, non si scrive per dire qualcosa ma perché si ha qualcosa da dire. Senti di aver assolto pienamente a questo compito?
Credo di sì. Non ho scritto per raccontare solo me stesso, ma per dare voce a una generazione, a un mondo che lentamente scompare. Ogni riga è nata da un’urgenza, dal desiderio di non perdere la memoria. E se chi legge ritrova tra le righe un’emozione sincera, una verità vissuta, allora sento di aver onorato quella frase, e quel compito.
Se non ci fosse stato il mare nella tua vita, chi saresti stato?
È difficile immaginarlo. Il mare ha tracciato ogni curva del mio destino. Forse avrei scelto un’altra via, ma non credo sarei stato lo stesso uomo. Il mare mi ha insegnato la disciplina, il coraggio, la pazienza. Mi ha dato prove dure e ricompense immense. Senza il mare, sarei stato un uomo incompleto.
A chi dedichi la tua memoria? Il tuo libro così come tutto quello che ti porti nel cuore?Lo dedico a chi ha condiviso con me la fatica e la bellezza del mare, a quei volti che ho incontrato a bordo e che non ho dimenticato. Ma soprattutto lo dedico alla mia isola, Procida, che mi ha generato e custodito, e alla mia famiglia, che ha sopportato le mie lunghe assenze senza mai chiedermi nulla. A loro va il cuore di ogni mio ricordo.
Solitudine, distanza, saper fare un passo indietro, mantenere la rotta nonostante la tempesta, prove dure, ricompense più grandi. La prima cosa che faccio, dopo aver chiuso la telefonata e l’intervista con Nicola Silenti, è aprire la finestra di casa e guardare il mare che ho di fronte e che, troppo spesso, sfioro distratta, quasi indifferente. Oggi quel mare è diverso: è ponte, è nodo, è orizzonte. abbraccio. Oggi è molto di più. Si ci sei riuscito, Nicola: mi hai emozionata, mi ha emozionata leggere il tuo libro, leggere più volte le tue risposte alla mia intervista. Tornare dall’ultima alla prima e poi ricominciare ancora. Proprio come fanno le onde. In un movimento senza sosta. Senza resa.