Da giorni, sulla stampa specializzata del settore portuale e logistico, si susseguono ricostruzioni e analisi fornite da fonti autorevoli che delineano un quadro sempre più allarmante sullo stato della portualità italiana. Un sistema strategico per l’economia del Paese che appare oggi ostaggio di logiche politiche, rinvii e veti incrociati, mentre resta senza guida proprio nel momento in cui avrebbe maggiore bisogno di visione, stabilità e capacità decisionale.
Ancora un rinvio, l’ennesimo. La votazione prevista per martedì 22 luglio presso la Commissione competente del Senato, che avrebbe dovuto formalizzare la nomina di dieci presidenti delle Autorità di Sistema Portuale, è stata sospesa. Come già accaduto nelle scorse settimane, le dinamiche interne alla maggioranza di governo hanno prevalso sulle esigenze del sistema portuale nazionale.
Sembrava che la partita si fosse sbloccata. Alcune intese, raggiunte con le Regioni interessate, avevano consentito al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di indicare candidati per gli scali di Genova-Savona-Vado, Trieste-Monfalcone, La Spezia-Carrara e per lo Stretto. Si trattava di nomi concordati anche con regioni amministrate dal centrosinistra, a conferma di un quadro che si andava faticosamente componendo. Anche i porti di Civitavecchia e Napoli-Salerno erano stati oggetto di audizione, con designazioni presentate come frutto di un’intesa con i vertici regionali competenti.
Ma la tregua è durata poco. La settimana scorsa, un nuovo blocco è scattato in Commissione alla Camera, riaprendo lo scontro. A far saltare il fragile equilibrio, una delle numerose frizioni sulle nomine ancora aperte, in particolare quella relativa a uno scalo del Sud dove è mancata l’intesa tra governo e regione sulla persona indicata. Ne è derivato uno stop generalizzato che ha coinvolto anche le altre proposte, anche quelle su cui sembrava esserci piena condivisione.
Si è così riaffacciata con forza quella logica spartitoria già segnalata dalla stampa di settore: una battaglia silenziosa ma durissima per il controllo politico degli scali, combattuta tra forze alleate, che ha riportato il tema delle nomine sotto la supervisione della Presidenza del Consiglio. Una dinamica che ha finito per delegittimare, nei fatti, la capacità di iniziativa del Ministero competente.
Le Commissioni parlamentari, tanto alla Camera quanto al Senato, hanno ora fermato ogni procedura, chiedendo che venga trasmesso un pacchetto completo e definitivo di nomine prima di procedere alle votazioni. Di fatto, tutto è rimandato a dopo la pausa estiva, probabilmente a ottobre. Un ritardo che, se esteso anche agli altri scali in attesa di presidente – tra cui Palermo, Ancona e Catania – potrebbe portare la questione a slittare fino al 2026.
Nel frattempo, il sistema portuale italiano resta privo di guida. Alcune Autorità di Sistema sono già commissariate da mesi, altre sono rette da presidenti uscenti in proroga o da segretari generali con poteri limitati. Un assetto provvisorio che indebolisce la capacità decisionale degli scali proprio mentre servirebbero visione strategica, capacità di coordinamento e continuità amministrativa.
Va ricordato che le Autorità di Sistema Portuale non sono semplici enti gestionali. Sono snodi essenziali per l’economia nazionale, per l’export, per la logistica intermodale, per il turismo crocieristico, per l’approvvigionamento energetico. In gioco non ci sono solo poltrone, ma investimenti, lavoro, progettualità e competitività internazionale.
Invece, tutto resta sospeso. Gli operatori attendono. Le imprese logistiche frenano. I territori costieri restano nell’incertezza. La blue economy, che da anni si cerca di promuovere come motore di sviluppo sostenibile, rischia di affondare tra rinvii e veti politici.
E il paradosso è che non mancano i nomi, le intese, gli strumenti legislativi. Mancano la volontà e il coraggio di decidere. Si è passati in pochi mesi da un tentativo di razionalizzazione della governance portuale a una vera e propria paralisi istituzionale. Ogni passo avanti viene vanificato da nuovi contrasti interni, da regolamenti non scritti che impongono di rinviare tutto se anche una sola casella resta fuori dal mosaico spartitorio.
Il rischio non è soltanto quello di ritardare le nomine. È quello di svuotare di autorevolezza l’intero sistema. I porti italiani – da sempre eccellenze riconosciute nel Mediterraneo – stanno pagando un prezzo altissimo per questo immobilismo. Mentre altri Paesi europei investono su infrastrutture, digitalizzazione e sostenibilità, l’Italia resta ferma, vittima delle sue contraddizioni.
Serve un cambio di rotta. Serve restituire centralità al merito, all’esperienza, alla progettualità. E serve, soprattutto, uscire da una logica che antepone gli equilibri interni alla funzionalità di un sistema che, con oltre il 30% delle merci in entrata e uscita dal Paese, rappresenta una delle colonne portanti dell’economia nazionale.
Un caso emblematico è quello dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna, dove il mandato quadriennale del presidente è scaduto, ma tutto resta sospeso anche se in presenza dei 45 giorni di proroga previsti. Comunque nessuna nomina commissariale, nessuna comunicazione ufficiale. Un silenzio che si presta a più letture: c’è chi parla di una scelta “strategica”, in attesa che si sblocchi il quadro politico complessivo delle nomine; altri evocano l’assenza di un’intesa con la Regione, che impedirebbe l’individuazione di un nuovo presidente. C’è poi chi interpreta il tutto come una forma di tolleranza verso una gestione considerata tecnicamente affidabile, oppure come semplice disinteresse istituzionale verso uno scalo non ritenuto prioritario nei giochi di potere. Resta il dato politico: anche in Sardegna, come altrove, la continuità amministrativa viene invocata per giustificare lo stallo decisionale. Ma la credibilità del sistema portuale nazionale non può poggiare su formule di comodo.
Perché lo shipping, la logistica e le comunità portuali non possono attendere oltre. Né possono accettare che la spartizione delle cariche venga prima della necessità di guidare, innovare e rafforzare il sistema portuale italiano.Insomma,come già scritto su queste pagine,un corto circuito istituzionale in piena regola,dove ognuno recita la sua parte e nessuno si assume la responsabilità di decidere .E’il segno evidente di una maggioranza che ha smarrito il senso dell’unità e dell’interesse nazionale.