I ricordi si muovono come le onde del mare; arrivano uno dopo l’altro, a volte placidi e rassicuranti, altre volte impetuosi e carichi di nostalgia. Sono frammenti di vita che riaffiorano, sospinti dalle maree del tempo: profumi, sapori, incontri, luoghi vissuti. E per chi ha navigato ci sono anche delle città che rimangono ancorate nella memoria specie quando il tempo e la storia ne mutano il volto.
Beirut è una di queste. Negli anni ’60 era la “Parigi del Medio Oriente”, una città vibrante, elegante, crocevia di commercio e cultura, dove l’Oriente e l’Occidente si sfioravano in un equilibrio perfetto. Durante il periodo in cui ero imbarcato sulle petroliere della Getty Oil Company (1957-1963) Beirut rappresentava un punto di transito nei viaggi verso Mina Saud con il percorso aereo Roma-Beirut-Kuwait.
Non sempre c’era la coincidenza per l’aeroporto di Kuwait City e cosi capitava di fare sosta a Beirut. In due occasioni, ricordo, la sosta si prolungò per un paio di giorni a causa di uno sciopero, offrendomi la possibilità di visitare la città. Ricordo il lungomare di Corniche, i caffè affollati di conversazioni in mille lingue, il profumo delle spezie nei souk e il riflesso dorato del sole sulle cupole e sui minareti. Beirut era il simbolo di un Medio Oriente prospero e cosmopolita, un’oasi di modernità tra le rotte della navigazione mercantile. Il turismo internazionale affollava le sue strade, attratto dalla combinazione di lusso, cultura e paesaggi mozzafiato. L’aeroporto internazionale di Beirut era un punto di snodo cruciale per il traffico aereo tra l’Europa, il Medio Oriente e l’Asia, con voli diretti da Parigi, Londra e Roma che trasportavano viaggiatori in cerca di sole, mare e divertimento.
Gli alberghi di lusso, ospitavano celebrità, uomini d’affari e diplomatici. Le loro terrazze si affacciavano sul Mediterraneo, offrendo un panorama spettacolare e un servizio impeccabile. Le boutique di Rue Hamra e Rue Verdun esponevano le ultime mode europee, attirando una clientela d’élite in cerca di esclusività e raffinatezza.
La vita notturna era leggendaria. I casinò e i nightclub erano frequentati da artisti, aristocratici e personaggi internazionali. I ristoranti offrivano un mix unico di cucina libanese e influenze francesi, mentre le discoteche e i cabaret restavano aperti fino all’alba, alimentando la fama di una città che non dormiva mai. Con le sue spiagge glamour e la sua anima vibrante, Beirut rappresentava una destinazione di lusso e svago, un crocevia tra Oriente e Occidente, dove modernità e tradizione si fondevano in un’armonia unica.
Poi la storia ha cambiato il suo corso. La guerra civile, i conflitti, le devastazioni hanno trasformato il volto di Beirut, lacerandone il tessuto urbano e sociale. In questi giorni al telefono con il mio amico giornalista Fausto Biloslavo abbiamo parlato dei suoi reportage dal Libano e quindi anche di Beirut e i ricordi si sono mescolati all’amara consapevolezza del presente. Che cosa resta della Beirut che ho conosciuto? Non ho conosciuto la “tua”Beirut, mi dice Fausto, “ma solo la Beirut della guerra con il mio primo reportage nel 1982 durante l’assedio della città. Assistevo all’arrivo delle truppe di pace italiane e avevo di fronte una città completamente distrutta, segnata dalla guerra civile e divisa in due dalla famigerata linea verde. Dopo anni di conflitto, la città è stata ricostruita ma oggi la storia sembra ripetersi e nei miei ultimi servizi ho trovato una città nuovamente in guerra, soprattutto nella parte sud roccaforte di Hezbollah. Beirut ha disperatamente bisogno di pace,” continua Fausto aggiungendo che “per fortuna c’è una tregua in corso, ma la città è al collasso dopo anni di guerre, tensioni e crisi economica. In questo momento Beirut non è più cosi divisa. A est vivono i cristiani mentre il quartiere sud rimane in mano a Hezbollah, ma non ci sono più barricate, posti di blocco, trincee o sacchetti di sabbia. E’un segnale di speranza per un Libano in pace ma serve, non una tregua fragile, ma un vero equilibrio politico per evitare che lo Stato sia ostaggio di uno Stato nello Stato, come è Hezbollah”.
In effetti un primo passo importante è stato compiuto con la recente nomina di Joseph Aoun alla guida del paese, dopo due anni di stallo politico. La sua elezione è stata accolta con speranza da parte della popolazione, nella speranza che possa rappresentare un passo verso la stabilità e la ripresa del paese. Tuttavia permangono dubbi sul fatto che questo cambiamento sia il risultato di una reale svolta politica interna o piuttosto di pressioni internazionali.