Le fatiche di Ercole sulle spalle di comuni mortali, oppure «una prescrizione obbligatoria che può trasformarsi in opportunità»? Il sistema di formazione e aggiornamento delle professioni marittime si presenta agli occhi di un profano come un labirinto di corsi, timbri e fogli vidimati in cui districarsi è impossibile. Un inno al burocratese e al con- tempo una spada di Damocle sospesa sul capo dei lavoratori del comparto marittimo, op- pure un modo per interpretare con maggiore consapevolezza e sicurezza la propria vita da professionisti del mare, a tutto vantaggio dell’utenza?
Giriamo queste domande al responsabile della delegazione di Cagliari del Collegio nazionale capitani di lungo corso e capitani di macchina, Nicola Silenti. Le sue idee sul sistema della formazione in ambito marittimo e sui tasti dolenti della normativa del settore possono aiutarci a risolvere il quesito. Esperto di formazione e aggiornamento professionale degli ufficiali della Marina mercantile, Silenti da anni collabora anche come docente con l’istituto Buccari di Cagliari e con l’ITS – Fondazione Mo.So.S e si è impegnato a favore dell’inserimento lavorativo dei giovani diplomati degli istituti nautici.
Ammiraglio Silenti, a che cosa facciamo riferimento quando parliamo di forma- zione marittima?
«Il caposaldo normativo della materia è rappresentato dalla convenzione internazionale STCW (dall’acronimo inglese Standards of Training, Certi ca- tion and Watchkeeping for sea- farers) del 1978 modi cata nel 1995 e attualmente in vigore con gli emendamenti di Manila 2010. La convenzione nacque dall’esigenza di introdurre dei criteri universali sulla sicurezza in mare, a causa dei numerose sinistri marittimi imputabili ad errore umano e in particolare quelli di una certa gravità av- venuti tra il 1967 ed il 1971».
Quindi una questione di
sicurezza legata alla formazione del personale?
«Certamente, ma anche una presa di coscienza di quanto sia importante dotare il settore a tutti i livelli di professionisti preparati, atteso che la sola formazione degli equipaggi curata dagli armatori non si era dimostrata sufficiente e bisognava acquisire nuove conoscenze e competenze. Anche la creazione di istituti o enti di formazione doveva essere accompagnata da una normativa adeguata che tenesse conto di tutte le problematiche sollevate dal tema della mancata sicurezza».
Conoscenze e competenze che devono essere certifi- cate?
«Non solo certificate, ma soprattutto spendibili sul mer- cato del lavoro per migliorare la vita dei marittimi e non per giusti care l’esistenza di una burocrazia che di certo non semplifica la situazione, ma anzi la complica, e non poco. Non è questione di pezzi di carta o di timbri dunque, ma di crescita personale e di sal- vaguardia della vita: la propria e quella degli altri».
Dalla firma della convenzione STCW quali sono i risultati raggiunti?
«E’ indiscutibile che oggi il mare sia un luogo molto più sicuro di 40 anni fa. I risultati degli studi e delle ricerche sulla materia consentono di affermare che il trasporto marittimo oggi non ha nulla da invidiare in termini di efficienza e sicurezza a quello aereo o terrestre. Senza dimenticare la grande attenzione riservata, e non da ora, alle tematiche ambientali. I passi in avanti sono stati parecchi, ma molto ancora c’è da fare, ad esempio per quanto riguarda i controlli sul personale imbarcato in modo indiscriminato sulle navi senza garanzia alcuna di competenza e professionalità. E spiace constatare che in nome della concorrenza globale si insista ancora da più parti nel voler risparmiare e fare soldi a discapito della professionalità del personale imbarcato. Questo non si può accettare: è inammissibile che i nostri professionisti rispettino alla lettera una s lza di obblighi e prescrizioni che tanta gente, ancora oggi, ignora nella maniera più assoluta. Senza criminalizzare nessuno, ma senza nemmeno ingoiare passivamente rospi indigeribili».
Che cosa resta da migliorare?
«C’è ancora tanto da fare in termini di preparazione complessiva. Il problema non riguarda di certo gli addetti italiani, forti di una tradizione gloriosa e tra i più preparati al mondo, ma quelli di nazioni emergenti, troppo spesso ignari di quali responsabilità comporti il lavoro marittimo. Occorre ricordare infatti che a fare le spese di questa impreparazione non sono soltanto gli stessi addetti a bordo, ma anche i passeggeri, spesso a dati nelle mani di personale inadeguato».
Passiamo al fronte della didattica scolastica e al tema cruciale dell’avviamento al lavoro delle nuove genera- zioni di marittimi. In con- creto, quali opportunità di lavoro si presentano oggi a chi sta per congedarsi dai banchi di scuola?
«Questo è un tema che af- fronto con grande soddisfa- zione, dal momento che sono reduce dall’esperimento felice dell’istituto tecnico superiore Mo.So.S di Cagliari. Un’espe- rienza vincente di formazione calibrata sulle esigenze del territorio e che si è tradotta in un lavoro per 23 allievi specia- lizzati nei settori dei trasporti e della logistica. Questi ragazzi sono una risorsa inestimabile di cui oggi può giovarsi tutto il sistema produttivo della Sardegna, ma sono anche il risultato di un modello virtuoso di conoscenza e utilizzo della tecnologia applicata all’econo- mia del mare e dei trasporti. Un risultato che si è potuto otte- nere soltanto con la creazione di un istituto ad hoc, il MoSos, uno strumento didattico rivolto ai diplomati del nautico che ha dimostrato di poter favorire in concreto l’incontro tra la domanda occupazionale delle imprese del settore e gli allievi».
Quali criticità si prospetta- no per l’immediato futuro?
«Senza dubbio l’adeguamento entro i primi mesi del 2017 alla STCW di tutto il persona- le navigante. Le istituzioni si sono mosse con grande ritardo nell’emanare i relativi decreti, generando così il rischio che i marittimi non formati in tempo utile debbano restare a terra. Una prospettiva sciagurata che, come sottolineato dal nostro presidente nell’ultimo numero di “Vita e Mare”, rischia di mettere a repentaglio l’operatività della flotta italiana».