Resta appeso a un filo fragile il destino del porto industriale di Cagliari. Una struttura legata nel profondo alle sorti dello scheletro infrastrutturale e dell’industria manifatturiera di un’Isola piegata da un terribile stallo economico, e che oggi mina dalle fondamenta il futuro di interi comparti insieme al posto di lavoro dei suoi tanti lavoratori.
Un futuro in pericolo, quello del porto Canale, a dispetto di un settore mondiale in continuo sviluppo e che per di più fa i conti con i movimenti e le strategie di crescita della concorrenza nel Mediterraneo. Una concorrenza che a poco più di sei mesi dalla frattura siglata nell’alleanza fra la compagnia di navigazione tedesca Hapag Lloyd e il gruppo terminalistico Contship Italia, sino a ieri players gemelli dello scalo cagliaritano, oggi si riorganizza sulla sponda opposta del Mediterraneo, in Marocco. Un sodalizio rinnovato, quello tra Hapag Lloyd e Contship Italia, con l’annuncio ufficiale dell’ingresso, con una quota del 10%, del vettore marittimo teutonico in Tangier Alliance, a suggello di una giravolta impensabile per tanti addetti ai lavori anche alla luce di un atavico disinteresse della compagnia a investire nelle banchine.
A parere di chi scrive, gli ultimi accadimenti segnalano in modo inequivocabile che la grande partita del trasporto merci via mare si gioca oggi sul terreno del transhipment, vale a dire sullo spostamento dei container merci tra mezzi di trasporto differenti, in particolare da navi cargo di grandi dimensioni a unità di dimensioni più piccole. E proprio sul terreno del trasbordo delle merci si è consumato sinora l’insuccesso del porto Canale di Cagliari, uno scalo tutt’altro che di retroguardia nel settore e dotato quantomeno a sufficienza dei requisiti richiesti dal transhipment internazionale. Ma allora perché una crisi di queste proporzioni a Cagliari?
Quello del transhipment è ai giorni nostri un mercato di particolare complessità: un mercato che per produrre una redditività degna di nota richiede che si facciano grandi volumi come insegna il caso del porto di Singapore, uno scalo di puro transhipment capace di movimentare circa 36 milioni di Teus. Un mercato complesso, quello del transhipment, a ben vedere severo ed esigente, che pretende scali automatizzati e dotati di servizi indispensabili per gestire container di ogni misura, compresi quelli refrigerati e con un tasso di automazione quasi totale delle movimentazioni.
Un mercato che costringerà sempre più i players mondiali a fare ricorso a scali dai fondali profondi e gru di banchina di ultima generazione, oltre che banchine con metri lineari a sufficienza: una serie di caratteristiche ormai irrinunciabili per accogliere meganavi capaci di trasportare almeno 18 mila Teus e per poter poi consentire ai feeder, cioè le navi medio – piccole, di caricare i container e raggiungere altre destinazioni. Un mercato che richiede infrastrutture moderne, certo, ma che ben più dei costi di destinazione risente in modo determinante della concorrenza spietata giocata dagli scali nordafricani, in grado di offrire una manodopera a costi di gran lunga decisamente più bassi.
Si tratta di una considerazione semplice nella sua spietatezza: le dinamiche del mercato moderno mostrano in modo indiscutibile che a fare la differenza nella sorte di uno scalo è la convenienza degli armatori, e oggi a un armatore conviene fare ricorso a scali non soltanto efficienti ma anche capaci di offrire il costo più basso nelle operazione di transhipment. Costi che, nella contesa tra il porto di Cagliari e il Tanger Med rendono di gran lunga più conveniente il secondo scalo.Insomma per concludere si ritiene che per una armatore risulta indifferente fare il trasbordo a Cagliari o altrove in quanto la scelta verrà guidata non dai mercati di riferimento che il porto può servire ma dall’efficienza operativa e dai costi complessivi dell’operazione di transhipment .
Nicola Silenti
(ilsarrabus.news)