Elezioni/ Cambia il governo? Per il mare e per i marittimi non cambierà niente
Un orizzonte di grandi cambiamenti per tutti, eccetto i marittimi.
La campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre entra nella fase clou dell’ultimo mese accompagnata dalle nefaste previsioni di un assenteismo che pende come una spada di Damocle sulla credibilità e sulla legittimazione di chi si candida al governo dell’Italia. Le proiezioni degli istituti demoscopici sono concordi nella previsione di un abbondante cinquanta per cento di votanti che diserterà il prossimo appuntamento elettorale, segno eclatante di una sfiducia per il sistema partitico cha sarà una vera impresa recuperare o, nella migliore delle ipotesi, contenere. Uno scetticismo, quello del corpo elettorale, che sembra amplificarsi in questa fase della campagna incentrata ormai quasi del tutto sulle trattative per collegi e poltrone e lontana come non mai dalle idee e dai contenuti, tra proposte programmatiche confuse e promesse altisonanti che non verranno mai mantenute.
Un appuntamento che pure dovrebbe essere atteso come non mai dalla grande maggioranza degli italiani, inviperiti da anni di governi tecnici e politiche tecnocratiche e quindi smaniosi di consumare la giusta rivincita nei confronti di una politica che alla prova dei fatti si è rivelata incapace di dare all’Italia serietà istituzionale e continuità di governo.
Così, a fronte di una realtà economica e sociale tutt’altro che esaltante e di un elettorato senza più riferimenti, da qui al voto per gli italiani si preannunciano giorni di noia davanti allo spettacolo di una politica impegnata nel solito ritornello di proclami, di giuramenti e di promesse di ogni risma che non potranno mai divenire realtà, nella universale certezza che nessuno, o quasi, renderà conto delle proprie parole all’indomani del voto. E non potrebbe essere altrimenti, con una legge elettorale concepita al solo scopo di impedire agli italiani di scegliere senza ambiguità da chi essere governati, in un pasticcio di proporzionale misto a maggioritario in cui a decidere chi siederà sullo scranno più alto del prossimo governo saranno segretari e maggiorenti di partito. Tutti fuorché il corpo elettorale, sospeso tra la speranza di un vero cambiamento e i troppi scenari da volta stomaco che sembrano incombere sul dopo voto, tra alleanze di governo mordi e fuggi, candidati pronti alla transumanza tra schieramenti e il solito placet di Usa ed Europa che minaccia di essere, come al solito, determinante.
Nel bel mezzo di questa opaca disfida, dai settori dei porti allo shipping, dagli agenti marittimi agli spedizionieri, dalla logistica all’autotrasporto e alla cantieristica, gli uomini e le donne che col proprio lavoro quotidiano realizzano l’economia del mare chiedono con forza a partiti e schieramenti che vengano proposti alla Camera e al Senato candidati preparati su una materia, quella del mare, che rappresenta un settore strategico e un pezzo fondamentale dell’economia italiana.
Un paese, l’Italia, ridotto a paese terricolo e terragno che voltando le spalle al mare disconosce la propria storia e la propria anima di penisola. Un Paese che volge il suo sguardo sciagurato verso la terra ferma a settentrione, quasi avesse terrore se non addirittura repulsione per la propria innata dimensione marinara, come descritto in maniera esemplare dall’amico Marco Valle nella sua quanto mai attuale opera ”Patria senza mare. Perché il Mare nostrum non è più nostro.Una storia dell’Italia marittima”(Signs Books, Euro 25,00). Una sintesi quanto mai efficace di Valle, a dispetto di una realtà inoppugnabile che vede ben un quarto del Prodotto interno lordo italiano dipendere dal mare. Un dato impressionante suffragato dalle cifre del trasporto via mare pari al 63,7 per cento delle merci dell’import italiano e al 50 per cento delle esportazioni, con un alleggerimento dei trasporti terrestri e un risparmio di costi esterni quantificabile in 297 milioni di euro l’anno.
Numeri eclatanti eppure in nessun modo considerati, valutati, apprezzati da una politica ignorante e ottusa. Una politica a cui l’universo marittimo in tutte le sue componenti chiede di riempire con urgenza questo inaccettabile vuoto programmatico e un riscontro dignitoso alle tante richieste inascoltate di decenni: il taglio della serie impressionante di freni, intoppi e astrusità burocratiche che avvinghiano e limitano uno degli apparati più virtuosi del sistema Paese, liberando finalmente alle rotte del commercio globale le energie represse e le potenzialità sopite di un settore cruciale della nostra economia per potenzialità inespresse, redditività e ricadute positive sul sistema industriale nazionale. Un universo che chiede alla politica italiana di puntare sulla portualità, sul trasporto di merci e passeggeri, sulla cantieristica, la pesca e il diporto, chiedendo tutela e rispetto per la dignità dei lavoratori marittimi.
Chi conosce la materia sa quanto il mare e l’universo delle attività che può generare sia non soltanto una risorsa essenziale, ma anche, o soprattutto, un’incredibile fonte di ricchezza. Una risorsa inestimabile da tutelare e preservare per la nostra sicurezza alimentare, per la sicurezza e la qualità “green” del trasporto di merci e persone, per le ricadute vantaggiose sulle attività d’impresa e quelle di servizi fondamentali che costituiscono il perno del cluster marittimo italiano. E’ tempo che la politica se ne faccia carico.