Nel nostro Paese è necessario istituire un Ministero del Mare, lo si dice da una quindicina d’anni. Da poco si è saputo che dopo trent’anni tornerà in Francia tale dicastero, sotto la guida del ministro Annick Girardin, già nominata il 6 luglio scorso. Il nuovo ministero si occuperà di industrie navali, porti, trasporti marittimi, pesca, acquacoltura, ma anche turismo marittimo, energia e biotecnologia marina.
Nei prossimi giorni troveranno ulteriore definizione il perimetro operativo del ministero e i mezzi su cui potrà contare. Se la Francia istituisce tale ministero, che cosa avremmo dovuto fare noi italiani, da decenni ormai, con un’area costiera enormemente più estesa e almeno l’ottanta percento dei nostri confini bagnati dal Mediterraneo?
È si vero che negli ultimi anni si è notato un aumento d’interesse verso l’idea di questo nuovo ministero, ma tutto procede ancora a passi troppo lenti. Nel 2018 notavamo il crescere dell’interesse da più parti, specialmente nell’ambito della blue economy, e il sostegno di personalità di enti influenti, “come la Confindustria nautica Ucina, la Confitarma e per ultime le influenti Federpesca, Assonave e Assiterminal.”
Vi era anche il sostegno di Confindustria e del suo presidente Vincenzo Boccia che, sulle colonne del quotidiano degli industriali “Il sole 24ore”, aveva ufficializzato al nascente governo la richiesta di istituzione di tale ministero.
La proposta di istituire un dicastero marittimo era stata da me avanzata sin dai primi anni Duemila ed era stata espressa in più occasioni dalla Delegazione di Cagliari del Collegio Capitani di Lungo corso e di Macchina. Per anni tale proposta è rimasta inascoltata, nonostante una lunga serie di articoli, comunicati ufficiali e interviste, come quella del 2004, in cui si chiedeva al governo di Roma il ripristino di un ministero dedicato a un intero settore complesso, quello marittimo, che investe i temi dell’economia, dell’impresa, dei trasporti, della cantieristica, dell’ittica, dell’estrazione petrolifera e mineraria, della ricerca e della tutela ambientale e di una moltitudine di altri campi non governabili in mancanza di una guida centrale. Tutti settori con indotti e ricadute enormi sull’economia della terraferma.Spiegammo di “regole astruse, regolamenti inutili, certificati per ogni occasione, marche da bollo, timbri, esami, tutti freni, lacci, impicci che non servono a niente, anzi servono solo a far perdere tempo a chi lavora. E il nostro comparto di perdite di tempo non può permettersene più”.
Una tale istituzione consentirebbe di mettere a disposizione un punto di riferimento unico con personale qualificato, a comporre una macchina amministrativa efficiente appositamente formata per affrontare i complessi temi marittimi, con il loro gergo tecnico e le relative necessità specifiche, da interpretare adeguatamente sul piano normativo. Sarebbe un punto di riferimento anche in tema di formazione e aggiornamento, ma anche di occupazione, specie in un momento estremamente delicato come questo, per quanto attiene alla sfera logistica e a tutte le problematiche igienico sanitarie emerse alla luce dell’emergenza legata al Covid-19.
Seppure ormai fuori tempo massimo, è di qualche consolazione apprendere che qualcosa sembra iniziare muoversi in tal senso anche fra determinati gruppi di interesse e di pressione vicini ai governi centrali. Per esempio, nel recente rapporto pubblicato dalla Fondazione Fare Futuro, intitolato “Rapporto Italia 20.20 sull’interesse nazionale”, pubblicato in collaborazione con l’ex Ministro degli Esteri Giulio Terzi, un’intera sezione è dedicata alla suddetta idea di un “Ministero per l’Economia del Mare”.Come da anni sosteniamo ma sempre inascoltati .
Nicola Silenti
(ilsarrabus.news)