Mentre il governo balbetta tra rinvii, silenzi e consultazioni infinite, il rischio – più che concreto e da mesi sotto gli occhi di tutti – è che i porti italiani restino senza una guida pienamente operativa fino all’autunno. Una prospettiva che indebolisce non solo l’efficacia dell’azione amministrativa locale, ma l’intero sistema logistico nazionale, costretto a muoversi senza la necessaria regia.
In un momento in cui servirebbero scelte nette e una visione strategica a lungo termine, si assiste invece a un gioco estenuante di equilibri politici, che ritarda nomine fondamentali e lascia le Autorità di Sistema Portuale in una fase di stallo operativo. Un immobilismo che penalizza il Paese proprio quando sarebbe urgente correre.
Il Mediterraneo vive un tempo di grandi cambiamenti geopolitici ed economici, e i porti italiani – da Trieste a Gioia Tauro, da Genova fino a Cagliari – si trovano dinanzi a un passaggio decisivo. Le opportunità non mancano, ma per coglierle servono decisioni tempestive, competenti e guidate da criteri di merito.
Non si tratta solo di migliorare infrastrutture o servizi: in gioco c’è la reputazione dell’intero sistema Italia e la nostra capacità di essere interlocutori autorevoli nei contesti internazionali che contano.
È tempo, quindi, di rompere con le vecchie logiche di gestione e di aprire una fase nuova, affidando la governance delle Autorità di Sistema Portuale a figure capaci di costruire visione, fare sintesi e orientare lo sviluppo marittimo nazionale con lucidità e spirito di servizio.
In un momento storico segnato da crisi internazionali, riconfigurazioni logistiche globali e transizioni energetiche complesse, la portualità italiana – con il suo sistema di Autorità di Sistema Portuale – dovrebbe rappresentare un asse strategico imprescindibile per la crescita economica e l’autonomia del nostro Paese. Eppure, la politica attuale sembra faticare a comprenderne fino in fondo l’importanza.
La ragione è, purtroppo, sotto gli occhi di tutti. La politica odierna, più preoccupata di coltivare logiche interne di potere che non di servire la visione strategica nazionale, appare spesso digiuna di competenze nel campo dell’economia dei trasporti, dello shipping e della logistica integrata. Materie fondamentali, complesse, ma assenti dal dibattito pubblico e scarsamente frequentate nei curricula di chi decide.
Nel tempo della Prima Repubblica, pur dentro un sistema a forte impronta partitica, le nomine negli enti pubblici e nelle grandi partecipate erano spesso affidate a tecnici di area, preparati, competenti, profondamente consapevoli del ruolo che erano chiamati a svolgere. Esisteva, pur nei limiti di un manuale Cencelli ampiamente applicato, una cultura della funzione pubblica, e un rispetto per l’equilibrio tra rappresentanza politica e competenza tecnica.
Oggi, invece, le nomine sembrano rispondere a criteri di fedeltà e sottomissione al potere di turno, con l’eccezione – doverosa da sottolineare – di quei rari ma preziosi amministratori capaci, autonomi e lucidi, che ancora oggi si distinguono per competenza, visione e spirito di servizio. Figure che, spesso in silenzio e lontano dai riflettori, portano avanti con dignità e intelligenza la responsabilità pubblica loro affidata. Ma sono, appunto, eccezioni.
Le Autorità di Sistema Portuale, strumenti vitali per la competitività e lo sviluppo dei territori, non dovrebbero essere vittime di logiche spartitorie. Il “manuale Cencelli” non può, e non deve, dettare legge in un settore che richiede visione, autonomia, competenze trasversali e conoscenza delle dinamiche globali.
Intanto, mentre la maggioranza degli italiani – oltre il 50% – continua ad allontanarsi dalle urne, alimentando con la propria astensione un sistema che diventa sempre più autoreferenziale, la politica perde progressivamente il contatto con le esigenze reali del Paese. E i porti italiani, che dovrebbero essere motori di sviluppo e baricentri economici mediterranei, restano ostaggio di scelte poco trasparenti e troppo legate a logiche di potere.
Per questo oggi più che mai serve una riflessione pubblica seria, onesta e propositiva. Perché la portualità non può più aspettare.