Il tempo per le nomine dei presidenti delle Autorità di Sistema Portuale – circa 500 curricula di aspiranti – è ormai scaduto, e l’urgenza di una scelta oculata è più che mai evidente. In un contesto internazionale e di mercato in continua evoluzione, con sfide sempre più complesse per la logistica e il commercio marittimo, l’Italia non può permettersi nomine dettate da logiche politiche o da un’applicazione sterile del Manuale Cencelli. È necessario un salto di qualità: servono figure di comprovata competenza e visione strategica, capaci di guidare i porti non come semplici terminali di traffico, ma come elementi centrali di un sistema industriale integrato.
La selezione dei nuovi vertici portuali si sta rivelando più lunga del previsto, ma questo potrebbe essere l’occasione per risolvere una criticità che in passato ha spesso generato conflitti e inefficienze: la contrapposizione tra presidente e segretario generale. Troppe volte, infatti, i segretari generali sono stati espressione di scelte politiche scollegate dalle esigenze gestionali, trasformandosi in ostacoli anziché in collaboratori. È quindi indispensabile che il presidente dell’Autorità Portuale abbia il pieno diritto di scegliere il proprio segretario generale, garantendo così un assetto coeso e funzionale.
I porti non possono più essere considerati come entità isolate, ma devono inserirsi in una logica di sistema, interconnessi con il tessuto produttivo e industriale del Paese. La competitività marittima italiana dipende dalla capacità di creare un modello gestionale efficiente, in grado di cogliere le opportunità offerte dai mercati globali e dalle nuove dinamiche della logistica. Un presidente portuale non è un burocrate, ma un vero e proprio manager dello sviluppo, chiamato a coordinare infrastrutture, imprese e territori con una visione di lungo periodo. Su questo scenario pesa inevitabilmente il ruolo di Edoardo Rixi, vice ministro delle Infrastrutture e riferimento politico chiave per la gestione delle nomine. La sua influenza sul processo decisionale è evidente e dimostra quanto sia centrale il controllo del sistema portuale nelle strategie politiche nazionali. Tuttavia, proprio per questo motivo, è necessario che le scelte siano guidate dalla competenza e dalla visione industriale ,anziché da logiche spartitorie che rischiano di rallentare lo sviluppo del settore. Come già richiamato varie volte su queste pagine,si ritiene che sulla questione ci debba essere un massiccio intervento del CIPOM con il supporto del Dipartimento per le politiche del mare secondo quanto stabilito dalla direttrice introdotta nel Piano del Mare sul ruolo della portualità italiana.
Oggi più che mai, la storia dei porti italiani insegna che le scelte politiche miopi hanno avuto un costo altissimo in termini di crescita e competitività. Il futuro del sistema portuale non può essere ostaggio di equilibri di potere o di spartizioni tra gruppi di interesse. Servono professionalità, autonomia decisionale e strategie condivise con il mondo industriale e logistico. Il tempo delle nomine affrettate e prive di un vero progetto è finito: il futuro della portualità italiana dipende dalla capacità di selezionare i migliori, senza compromessi.